Ed ecco un classico della fantascienza sociologica, La morte dell’erba di John Christopher del 1956. Il riferimento con l’attualità, scusatemi, ma è stato un rimbalzo fin troppo goloso e non ho voluto sottrarmene. Quando gli scrittori riescono a cogliere e mettere in luce spicchi di criticità reali lasciati in ombra dall’attenzione generale, si parla di blind spot. Mai come in questo, noterete, la finzione estremizza un problema tuttora cocente e ci chiarisce questo cono d’ombra.
Nella benestante Inghilterra del dopoguerra, che volge il suo sguardo tracotante verso il boom economico, giungono, come pallidi echi, lontani per darvi davvero ascolto, notizie di un virus. In Cina sta devastando le piantagioni di riso e provocando un’apocalittica carestia. Il Paese è stato blindato in una quarantena militare (state cominciando a capire perché questa mia scelta è stata obbligata?) e le morti per indigenza cominciano ad avere numeri importanti. Questi, però, riguardano l’Asia e popolazioni molto al di sotto della ricchezza occidentale, quindi sono trascurabili. Il virus non riesce ad essere ingabbiato da confini politici e sentinelle armate, travalica le frontiere e muta attaccando anche le graminacee… di tutto il mondo.
La famiglia Custance, preavvisata dell’inevitabile tragedia da amici altolocati del governo, intraprende un viaggio verso nord, in una campagna di proprietà di famiglia, isolata da colline e naturalmente protetta da una stretta imboccatura rocciosa. Un percorso dantesco, prima di raggiungere il loro paradiso, che li costringerà a rapportarsi con le tenebre di quanto siamo disposti a degradarci per difendere le nostre vite e quelle dei nostri cari.
«L’Oryza sativa» continuò David «è il riso». «Il riso!» esclamò Ann. «Allora…» «Questa è l’erba del riso» disse David. Prese uno dei lunghi steli e lo tenne alto. Era cosparso di macchie verde scuro con un puntino marrone al centro. La parte inferiore era completamente marrone e putrefatta. «E questo è il virus Chung-Li». «Qui, in Inghilterra?» domandò John. «In questa terra verde e meravigliosa» confermò David. «Sapevo che poteva attaccare anche il Leersia, ma non mi aspettavo che giungesse fin qui». Ann rimase a fissare, quasi ipnotizzata, l’erba chiazzata e putrefatta. «Sarebbero queste macchie… Soltanto queste macchie…» disse la donna. David guardò il terreno paludoso che si estendeva fino ai margini del campo di grano. «Grazie a Dio i virus hanno degli appetiti selettivi. Questo ha percorso mezzo mondo per attaccarsi a quel ciuffo d’erba, e forse a qualche altro centinaio di ciuffi simili in tutta l’Inghilterra». «Già» disse John. «Anche il grano è un’erba, vero?» «Il grano, l’orzo, la segale… per non parlare dei foraggi per il bestiame» disse David. «Per i cinesi è una cosa tremenda, ma poteva anche andare peggio». «Già» fece Ann, «poteva toccare a noi. È questo che vuoi dire? Li avevamo di nuovo dimenticati. E probabilmente, fra cinque minuti avremo trovato altre scuse per dimenticarli ancora». David schiacciò i fili d’erba nella mano e li buttò nel fiume. L’acqua li trascinò via. «Non possiamo farci niente» disse.
Chi è Cinzia Di Mauro
Cinzia Di Mauro, autrice catanese di una trilogia di fantascienza Genius (finalista Urania e Delos) Ledizioni Milano, di un noir umoristico La storia vera di un killer nano (segnalato al Premio Calvino e scelto dalla Nabu), di un fantasy orwelliano Casa Bruiswiq e di un thriller sull’alta finanza In cima alle torri. www.litenet.it
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