Federico De Roberto era un amante appassionato e temerario. La sua storia d’amore segreta con la trentunenne Ernesta Valle, moglie dell’avvocato Guido Ribera, scorre in più di 700 lettere. Si dubita sempre delle cose più belle è il titolo del volume curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, edito da Bompiani che riporta in oltre 2.000 pagine il carteggio bilaterale prezioso tra i due amanti, con un corredo iconografico di 80 foto.
Il titolo riprende una conversazione del 3 novembre del 1902 quando Renata scrive a Federico: “Si dubita delle cose più belle, questo è risaputo; sono dunque scusabile io se dubito del tuo amore […] Quanti desideri ora, e come se il ricordo di quelle risa e di quell’amore fa sentire più amara e più desolante la presente condizione nostra”.
Fra sotterfugi, stratagemmi, astuzie, il carteggio, si snoda dal 31 maggio 1897 al 18 novembre 1903 (con sporadiche testimonianze fino al 1916) in un intricato intreccio di temi intimi e letterari.
Un’ardente storia d’amore che ci rivela aspetti ignorati dell’austero e schivo Rico, come lo chiama l’amante, a sua volta ribattezzata Renata (perché “rinata” all’amore) o Nuccia (diminutivo di “femminuccia”) e insieme della vita mondana, sociale, culturale dei due poli fra cui si snoda, Milano e Catania, dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento. Una donna di singolare modernità Ernesta, raffinata, colta, brillante, anche nella scrittura, i cui giudizi De Roberto sollecita e accoglie. Un carteggio cosparso di notizie di ogni genere fra cui un posto di rilievo occupa l’elegante abbigliamento femminile dettagliatamente descritto. Dalla foggia degli abiti, sempre fortemente strizzati alla vita e merlettati (ne è documento la splendida foto di lei in copertina), da passaggio (“il vestito di panno nero con il paltoncino e il colletto di ermellino”, “la mantellina nera di mezza stagione”), da salotto (“il vestito azzurro con il colletto e le manopole di pelliccia grigia”), da ballo (“l’abito nero dalla cintura rossa”), da casa (“la lunga morbida vestaglia bianca”, quella “ampia, rossa, guarnita di pelliccia”, “l’abito di panno bianco”), ai cappellini (spesso “con veletta sul viso”), ai guanti rigidamente abbinati al colore dell’abito.
Meta prediletta di De Roberto, al pari dei sodali Verga e Capuana, sospinti da un senso d’irrequietezza, da un’aspirazione a più vasti orizzonti, Milano rappresenta la capitale dei poteri mediatici, finanziari, culturali, la città più progredita, operosa, ricca di vivacità artistica e di brulicanti iniziative, con le sue prestigiose case editrici (i Fratelli Treves, Galli), le grandi testate giornalistiche (il “Corriere della Sera”, la rivista “La Lettura”), i rinomati teatri (la Scala, il Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico, l’Eden), gli eleganti ritrovi (il Biffi, il Cova, il Savini, il Caffè dell’Accademia), gli elitari salotti (di donna Vittoria Cima, di Virginia Borromeo, della stessa Ernesta Valle Ribera).
“E’ stato un lavoro molto lungo – spiegano Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla – ma straordinariamente interessante e intenso. Abbiamo dovuto ricostruire questo carteggio lettera per lettera. I due si scrivevano tutti i giorni, più volte al giorno. Le lettere di lei, timorosa che il marito potesse venirne a conoscenza, venivano puntualmente consegnate a De Roberto durante i suoi frequenti soggiorni milanesi”.
Un amore destinato alla sofferenza, alla lontananza fino all’abbandono.
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