Qualcuno l’ha definita “la pasionaria catanese”. Sempre in prima linea nei cortei che si snodavano e si snodano lungo le strade e le piazze di Catania, con un megafono in mano per dare voce alle battaglie più scomode. Lei è Grazia Giurato, 75 anni portati con grinta, figura storica del femminismo, ma non solo. Nel suo percorso ci sono anche la politica (con il PCI e La Rete), i movimenti (dai Girotondi a Se non ora quando), il volontariato nelle comunità (Cittainsieme), la fede religiosa praticata nella chiesa di S. Pietro e Paolo. Il racconto della sua vita intensa e delle sue lotte civili è diventato oggi un libro, con un titolo che è anche un invito a non mollare: “ANCORA CI CREDO. Esperienze e storie di vita di una rompiscatole consapevole fra fede, impegno e dissenso” (casa editrice La tecnica della scuola). Il volume – introdotto da una prefazione di Nando Dalla Chiesa – è stato presentato ieri nel Palazzo della Cultura di Catania, in una sala affollatissima e a maggioranza decisamente femminile. Ad ascoltarla c’erano donne di tutte le età, dalle giovanissime che non hanno vissuto le battaglie del divorzio e dell’aborto, a quelle che invece c’erano, e oggi ricordano quei tempi con un pizzico di nostalgia. Stimolata dalle riflessioni delle giornaliste Pinella Leocata, Letizia Carrara e Carmen Greco (che ha curato la stesura del libro), Grazia Giurato ha ripercorso le tappe principali della sua vicenda privata: la morte del padre in guerra, il lavoro in banca, la malattia del figlio, il matrimonio “con un uomo meraviglioso, che mi ha sempre assecondata”.
La sua storia personale si intreccia però inevitabilmente con quella delle tante donne che l’hanno segnata nel profondo. Donne umiliate, stuprate, addirittura assassinate. Spesso senza mezzi economici, ma soprattutto senza qualcuno che le ascoltasse. Per aiutarle, Grazia ha cercato l’aiuto di altre donne (ricordiamo ad esempio il suo lavoro infaticabile nell’UDI), ha denunciato, alzato polveroni, messo i pugni sul tavolo. Infischiandosene di chi le diceva: “Ma chi te lo fa fare?”. Vivendo a volte con disagio e sofferenza le sue battaglie, come quella in difesa della legge 194 e dell’aborto; lei, cattolica praticante, ma “convinta che Dio non voglia la sofferenza delle donne”. A chi le chiede il perché di questo libro, lei risponde che “voleva lasciare un segno, lanciare un messaggio, soprattutto alle ragazze di oggi, perché ha ancora un senso essere femministe”. “Bisogna avere il coraggio di indignarsi – conclude – senza girare la testa dall’altra parte. Altrimenti si diventa complici”.
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