Era una giornata come tante, poteva essere una giornata come tante, ma non lo fu. “Lo presenti il mio libro?”, mi chiede Antonello Carbone al cellulare. Sono sempre stato convinto che è più facile scrivere un libro che presentarlo. Infatti, qualche libro l’ho presentato, ma non ne ho mai scritto uno. Amo le cose difficili. Tergiverso, prendo tempo,vedo il mio latte di mandorla appena uscito dal frigo perdere freschezza. Non posso berlo tiepido. Non si può. Tagli corto: “Certo! Che libro è?”. “Un noir”, risponde lui. Antonello è un amico, oltre che un collega importante, non mi sembra opportuno chiedere altre, anche perché sono andato alla presentazione del suo libro alla Feltrinelli. Arrivai in ritardo, come sempre, sala affollatissima: vidi gli interventi dei relatori a distanza, ma senza sentire niente. Ah, un noir, penso, meno male che non è un giallo. Odio i gialli perché non capisco mai come finiscono. Io vorrei una sorta di tabellina alla fine, dove si spiega tutto. FINOCCHIARO: è l’omicida. PAPPALARDO: è il complice. GIUSTOLISI: passava di là per caso. IL CAMERIERE: è solo curioso ed è un interinale. Ma mi hanno spiegato che un giallo per essere tale finisce così, cioè che ti resta il dubbio. Mah. Io non ho grandi competenze letterarie, lo ammetto: se le avessi scriverei libri, invece mi limito a presentarli, come già detto. Un noir, dunque. “A Taormina, d’inverno”. Immagino atmosfere gotiche, medievali, tenebrose. Cadaveri squarciati, rumori di catene, vampiri svolazzanti dal Duomo a porta Messina, una spruzzatina di esoterismo. Non è così. Quando comincio a leggere c’è una radiosa Taormina, magnificamente descritta da Antonello. La Taormina di cui tutti s’innamorano: chi la conosce e chi vorrebbe conoscerla. E’ una sorte di “innamoramento preventivo” che non accade con le persone e tanto meno con le città. Con Taormina sì. Il protagonista, poi, è un bel personaggio, un certo Cassisi, giornalista giovane, ma d’altri tempi, che ha la capacità di traghettare la professione dal passato al futuro: dalla chiacchierata in codice con l’informatore alla ricerca di riscontri sui sociale network. E poi è un collega, mi fa simpatia per spirito di corpo. Si dà da fare con le donne che lo circondano, senza esagerare, però: con classe e misura. A volte gli va bene, a volte no. Insomma, un tipo normale e, per questo, credibile. Non è l’incredibile sbirro puritano che affoga tutti i suoi vizi in una fritturina di pesce. S’arrovella, poi, il collega sulla misteriosa morte di una donna in vista, sulla strada principale di Taormina, tra profumi e panorami mozzafiato. Altro che vampiri e cadaveri squarciati. A me sembra un giallo, comunque, più che un noir. Il dubbio mi resta, ma per salvaguardarmi e continuare fino in fondo, preferisco non chiarirlo. Bella storia, ben scritta, piacevole da leggere e coinvolgente. Brevi capitoli, emerge il Carbone televisivo: testo snello e rapido. Senza accorgermene sono già alla fine. Riguardo la copertina e arrivo alla valutazione più approfondita che riesca a fare. Al posto del nome dell’autore immagino il mio. Sì, mi piacerebbe averlo scritto io questo libro. Che, per me, e adesso ne sono convinto, resta un giallo. Resto, infatti, col dubbio di aver capito bene, il dubbio che è il marchio di un giallo scritto bene. Mi consola il fatto che “A Taormina, d’inverno” lascia a disposizione altre tre stagione e Antonello Carbone, mi dicono, ne sta già opzionando un’altra.
Daniele Lo Porto
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