La mostra di Giuseppe Livio dal titolo “Invasioni Rubate Evasioni” a cura di Antonio Vitale dopo le numerose tappe siciliane lascia l’Isola e arriva a Torino con un doppio appuntamento nello spazio bin11 e nell’Atelier Giorgi, per raccontare gli ultimi approdi pittorici dell’artista in un continuo rimando tra mito, sogno e quotidianità.
In particolare Livio nelle sue opera mette sempre l’uomo in primo piano come spettatore e interprete delle “invasioni” dal mondo che lo circonda e abitante privilegiato delle “evasioni” del mondo che vorrebbe, come possibilità e slancio verso altro, altrove determinato.
Leggiamo nel testo che introduce la mostra, “Livio è un primitivo del segno, nel senso che lo trattiene fermo ed asciutto nel gesto che lo determina ed ancora tutto rivolto all’idea che lo ha concepito; ogni tratto piegato al suo personale senso è sottratto alla logica di alfabeti precostituiti, sempre distratto da qualsiasi formula conciliatoria nei confronti di un’idea di docile sottomissione della forma verso una deriva di godibile decorativismo. La sua opera è un’inconsapevole rappresentazione dell’innocenza, intesa non come scenario di un destino mai macchiato da errori, quanto piuttosto come atteggiamento di rifiuto dai compromessi che tendono a smorzare la piena luce che promana da un’esperienza proiettata alla verità…”.
I supporti utilizzati per le opere variano dalla tela alla carta a mano, mentre le tecniche spaziano dall’olio, alla tecnica mista, al disegno, alla calcografia.
Per questa mostra l’artista presenterà, utilizzando la tecnica calcografica, un polittico ad unica scena di rappresentazione dalle grandi dimensioni (2,00 x 2,80 m – mediante l’incisione di 16 lastre di zinco da 50 x 70 cm ciascuna), dal titolo “Svelando i profumi della sua immagine”, come espressione più autentica di una tecnica antica nella quale condensare un usato mestiere. Un’opera questa, ricca di una memorabile prolissità di segni intrisi nel pallore di uno spazio intimamente sprofondato di luce. Un segno gentile per un messaggio incisivo e fortemente comunicativo.
Ed ancora, in mostra, una nutrita presenza di opere appartenenti al ciclo “leggerezza”, per le quali Antonio Vitale scrive, “assistiamo ad un copioso uso della forma quadrata come confine dei suoi telai, quasi volesse stabilire attraverso le uguali dimensioni della tela un’equidistanza tra visione e concretezza in un’atmosfera solcata da segni lievi ma incisivi, che sembra accarezzare l’idea delle superfici sabbiose delle opere di Massimo Campigli. C’è ancora, nell’utilizzo del lino grezzo come supporto, la volontà di attualizzare la memoria, renderla trasparente al tempo e per questo definitivamente presente anche se però mai pienamente svelata; fare parlare sottovoce la sua folla di soggetti, ciascuno dei quali sottende una storia, un incontro, uno sguardo.”
Scrivi un Commento