Aperta fino al 12 febbraio 2014 presso il Palazzo d’Arte e Cultura di Pisa, l’imperdibile mostra sulla più grande icona dell’arte americana del secondo novecento offre 230 opere provenienti dall’Andy Warhol Museum di Pittsburg, dall’Albertina e dal Mumok di Vienna, dalle collezioni storiche Sonnabend Gallery e Ronald Feldman Fine Art di New York. Walter Guadagnini e Claudia Zevi, accompagneranno il visitatore in un accattivante viaggio nella Warhol life ripercorrendo, con testi chiari e per nulla banali, le tappe di colui che con assoluta originalità, codificando simboli ed icone, è riuscito a modificare per sempre l’immagine dell’America.
La mostra si sviluppa attraverso sezioni tematiche fornendo le basi del pensiero artistico e delle diverse ispirazioni di Warhol a dimostrazione della lucida follia di uno dei più versatili geni dell’arte moderna. Grafico pubblicitario, pittore e regista, sapeva meglio di chiunque altro usare le immagini facendole parlare attraverso i colori più caldi e contrastanti. Artista poliedrico, grande comunicatore alla continua ricerca di sperimentare nuove tecniche e sempre nuovi linguaggi visivi con input e sollecitazioni che vanno aldilà dell’opera stessa, creando profondi canali comunicativi di intensità emozionale e cerebrale.
Animato da una narcisistica voglia di apparire a tutti i costi, Warhol ha fatto dell’autoritratto una costante di gran parte della sua carriera artistica, declinando questo tema con tecniche e supporti sempre diversi. Foto, tele, disegni, strisce di fototessera, opere grafiche in bianco e nero, lo ritraggono ora con lo sguardo fisso all’obiettivo o all’osservatore, ora con gli occhi persi nel vuoto, ora in atteggiamenti di riflessione, ora in oniriche pose e pettinature ai limiti del grottesco, come quella parrucca argentea che lui stesso definì «spaventosa». Grande fotografo ed abile regista Andy usò la Factory come tempio di creatività artistica e sociale; da qui i noti Screen tests realizzati fra il ’64 ed il ’66, quasi autoritratti viventi di personaggi che si lasciavano riprendere da una camera per liberarsi o comunicare in silenzio personali emozioni ed intime sensazioni.
Emblematico esponente della Pop Art riuscì a vedere e far vedere l’America con altri occhi rendendola nuova ed assolutamente unica «L’idea di America è formidabile perché più una cosa è uguale ad un’altra più è americana». Così fece della serialità la sua più grande peculiarità artistica. Fra le più note serigrafie esposte: Flowers, nuovo volto delle più tradizionali nature morte; Campbell’s, tele rappresentanti zuppe inscatolate che nel 1964 gli procurarono il plauso del product marketing manager aziendale; Brillo boxes, con cui riuscì ad elevare artisticamente la banalità del quotidiano secondo i canoni minimalisti del periodo; Electric chair, spiazzante ed angosciosa immagine di un’America non solo pop e di quel cupo senso di morte cui l’artista si avvicinò dopo l’attentato del 1968 approdando alla famosa serie “Morti e disastri” con le icone di Marylin Monroe, Liz Taylor e Jacqueline Kennedy, strepitoso incastro artistico di morte, femminilità e angoscia.
Non manca la celebre serigrafia di Mao Tse-Tung, abilissimo espediente retorico con cui Warhol, in occasione dell’avvicinamento degli Stati Uniti alla Cina, volle portare il tema politico su un terreno più raffinato, più colto e più elevato di quello abituale. Il “santino” Vote Mc Govern, geniale strategia comunicativa di tipo antifrastico. Il collage per l’amico Mick Jagger, emblematico esempio di Star system, realizzato nel 1975 per la galleria di Leo Castelli a New York. La serigrafia del Vesuvio che mostra il legame che Andy ebbe con l’Italia ove fu invitato dall’amico Lucio Amelio in occasione di una grande eruzione. La celebre tela Myths, rappresentazione sinottica, quasi mitologica, di quei miti in cui si raffigurava l’America di allora e dove fra Mickey Mouse, Santa Claus, Mammy, Howdy Doody ed altri è possibile intravedere anche il celebre autoritratto di Warhol nel ruolo di the Shadow.
Si approda, infine, alle tele vicine a quell’astrattismo pittorico cui l’artista approdò alla fine degli anni ’70, ed alle famose carte da parati sulle quali amò esporre le sue opere d’arte con effetti tanto geniali quanto destabilizzanti molto simili alla sua stessa personalità.
Le mani di Gesù dipinte da Leonardo nel Cenacolo, uniche nel dipinto, una con la palma verso il basso e l’altra verso l’altro indicano che Gesù era ambidestro come naturalmente era Leonardo e in parte Michelangelo Buonarroti? Non a caso Andy Warhol, genio anche lui, riprodusse, oltre il Cenacolo, serialmente la Gioconda e Marilyn che richiamano lo stesso volto archetipo. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.