Settantotto falsi realizzati nella prima metà del Novecento verranno esposti, nelle sale di palazzo Ingrassia, in un’apposita sezione del Museo Archeologico di Catania che aprirà i battenti ad ottobre. False antichità la cui qualità e l’alto livello artigianale degli esecutori è tale da aver ingannato, nel tempo, non solo appassionati acquirenti privati, ma anche esperti archeologi, storici dell’arte antica e studiosi di fama internazionale. Un mercato di falsari che ha scatenato grandi polemiche ed al quale non sembra essere scampato nemmeno il Duce. Ne parliamo conEdoardo Tortorici, ordinario di Topografia antica presso l’Università di Catania e direttore scientifico del museo.
Professore, il Consiglio Nazionale delle Ricerche attribuisce al centuripino Antonino Biondi alcuni falsi che vedremo esposti al Museo di Catania, sembra che a questi appartengano anche i ritratti dipinti in stile ellenistico che furono donati al Duce, è corretto?
«Sì, alcuni studi ci hanno permesso di risalire alla famiglia Biondi che si è occupata per diversi anni di falsificare oggetti antichi, la cosa curiosa è che nella trappola ci finirono anche gli archeologi perché Biondi fu per tanti anni restauratore del museo di Villa Giulia a Roma. La beffa del Duce deriva dal fatto che,durante una campagna di scavi a Centuripe, furono trovati dei tondi di terracotta dipinta riconosciuti di un pregio tale che un politico del tempo propose al Ministro della Cultura Popolare di donarne alcuni a Mussolini. Successivamente, però, Albizzati-archeologo esperto nello studio dei falsi- decretò la non originalità dei materiali centuripini fra cui quelli donati al Duce, scatenando così una grande polemica.»
Analisi chimiche e fisichehanno decretato in maniera definitiva la falsità di quei pezzi, ma come si è giunti ad insinuare il dubbio e come procedeva il falsario?
«Lo abbiamo scoperto perché nelle cantine dei suoi eredi sono state trovate alcune delle matrici che Biondi usava per creare le repliche moderne di oggetti antichi. Un altro modus operandi era quello di dipingere su pezzi originali iconografie dal sapore antico, ma di fattura moderna.»
Nel museo non saranno esposti solo i falsi, cos’altro potremo ammirare?
«Vi sono diversi oggetti che ripercorrono tutto l’arco cronologico dell’archeologia, dalla preistoria fino al tardoantico. Fra i pezzi più rilevanti, due asce in pietra del IV millennio a.C., di età arcaica un vaso del “pittore dei rosoni”, di età classica vasi sicelioti ed attici, di età ellenistica una splendida pisside centuripina che è stata ospite, lo scorso anno, al Paul Getty Museum in California e poi al museo di Cleveland. Dell’originaria collezione fa parte anche un lotto di monete greche e romane, donate nel 1763 da Monsignor Ventimiglia all’Università di Catania, ma che dopo i moti del 1848 scomparvero per poi essere ritrovate –in parte- da Libertini negli ’50 dentro un mobile del ‘700 che vedremo, anch’esso, esposto al museo.»
Il contenuto di questo museo è strettamente legato alla collezione Guido Libertini, noto archeologo e Rettore dell’Ateneo catanese negli anni ’50,è possibile tornare indietro nel tempo e ripercorrerne la storia?
«Il 75% degli oggetti esposti appartiene effettivamente alla collezione Libertini, ma ci sono anche pezzi di altra provenienza, da alcune ricerche da mecondotte all’archivio della Sovrintendenza di Siracusa,sono venuti fuori due documenti del 1898, uno in cui l’Orsi, allora Direttore del Museo Archeologico siracusano, dona al nascente Museo Archeologico di Catania 10 pezzi provenienti da scavi,l’altro in cui Capparelli, allora Rettore dell’Università di Catania, ringrazia Orsi e annuncia la volontà dell’Ateneo catanese di dotarsi di un museo. A tutto questo si aggiungono i pezzi raccolti dallo storico Casagrandi ed infine la collezione di Libertini che, dopo la sua morte avvenuta nel 1953, fu formalmente donata dagli eredi all’Istituto di Archeologia.»
Dalla collezione al museo quale è stato il passaggio?
«I materiali non sono mai stati esposti al pubblico, ma sono stati spostati dal Palazzo Centrale ai magazzini del Museo civico Castello Ursino e dai locali della Soprintendenza a quelli del Palazzo Ingrassia sede del museo.»
Si deve a Giovanni Rizza, icona dell’archeologia catanese,un articolato progetto, volto ad ottenere una sistemazione più idonea per la collezione Libertini mediante la costituzione di un Museo, programma che fu inserito nel Progetto Coordinato Catania-Lecce approvato e finanziato nel 1997, tanto tempo è trascorso …nelle more cosa è successo?
«Quando Libertini morì il suo posto venne preso da Rizza che si occupò del materiale senza poterlo esporre per mancanza di spazio, dopo la vera erogazione dei fondi del progetto, intorno al 2000, si è deciso di destinare il Palazzo Ingrassia al museo che avrebbe dovuto vivere a stretto contatto con una biblioteca e con i docenti/ricercatori, questo fu il vero punto di forza del progetto di Rizza, chiaramente fra il dire e il fare … così il tempo dei lavori, delle gare e degli allestimenti … si è arrivati ad un punto di non ritorno perché il progetto Catania-Lecce aveva coperto solo il 95% della somma occorrente …»
E il restante 5%?
«In parte è stato coperto dall’Associazione “Officine culturali” in parte da me e dai miei studenti che ci siamo sbracciati e abbiamo fatto quello che era in nostro potere fare, ma manca ancora qualcosa …»
A chi vi rivolgerete per la parte mancante?
«Ci siamo rivolti alMagnifico Rettore che, riconosciuto il valore di questo patrimonio culturale, si è mostrato ben lieto di aiutarci!»
Chi gestirà il museo una volta aperto?
«Il patrimonio sarà gestito dall’Università di Catania tramite il Direttore del Dipartimento Giancarlo Magnano di San Lio, la parte scientifica sarà affidata a me e quella logistica ad “Officine culturali”.»
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