CATANIA. Da Rossini a Verdi da Leonard Cohen a De Gregori, passando per Branduardi ed Elton John, tanto per citarne alcuni, Giovanni d’Arco rimane una delle grandi protagoniste dell’immaginario collettivo. Tra i poeti, poi anche i “maledetti” Verlaine e Rimbaud ne rimasero segnati come d’altra parte anche Peguy.
A prescindere poi dal film diretto da Roberto Rossellini e interpretato da Ingrid Bergman basato sulla ripresa cinematografica dell’omonimo spettacolo messo in scena nel dicembre 1953 al Teatro San Carlo di Napoli non è facile assistere a “Giovanna d’Arco al rogo” oratorio drammatico per un prologo e 11 scene per recitanti, solisti, coro e orchestra di Arthur Honegger con libretto di Paul Claudel: a Catania, sui legni del Bellini mancava infatti da poco meno di mezzo secolo, quando venne rappresentata con la regia di Vittorio Gassman, anche lui voce recitante insieme ad Olga Villi e Franco Capuana alla direzione orchestrale.
Se la scelta di riproporre l’oratorio in forma semi-scenica rischiava di ridurre la sua valenza drammaturgica, l’edizione del Bellini è stata comunque percorsa da una vis tragica che, prima di tutti il Coro, diretto da Tiziana Carlini e poi la stessa orchestra del Bellini, guidata da Will Homburg, hanno saputo esprimere con inusitata chiarezza e vigore.
Il testo di Claudel nasce in un periodo di un intensissimo travaglio interiore che porta l’autore alla conversione al cattolicesimo nel 1886 avvenuta, a sentire lo stesso Claudel, a Notre-Dame de Paris ascoltando il Magnificat durante la Messa di Natale ma fu musicato da Honegger solo nel 1934: una realizzazione particolarmente complessa poiché le intenzioni del musicista erano quelle di creare un affresco per un pubblico più ampio accostando le sonorità moderne alla sensibilità popolare: dal fox-trot al jazz, dallo stile politonale e contrappuntisticamente rigoroso, alle cupezze atonali delle Onde Martenot, una specie di antenato del sintetizzatore che anche il pubblico del Bellini ha potuto gustare.
Pur privo di costumi e di scene questo Oratorio ha comunque impressionato per la qualità delle voci, scagliate su una partitura incalzante e policroma e disposte con una intelligente mossa registica non solo sul palco. Davvero convincenti i ruoli cantati: Graziella Alessi e Ines Krome Loredana Megna e Michele Mauro, Maurizio Muscolino e Samuele Cazzubbo cui si è aggiunta la soavità del coro di voci bianche diretto da Elisa Poiodomani. Ma se, sul grande schermo, la Bergman aveva sostenuto il confronto con Renée Falconetti, interprete de “La Passione di Giovanna d’Arco”, il capolavoro di Dreyer (ed era un muto!) qui nell’oratorio drammatico del Bellini, Giovanna d’Arco non ci è parsa all’altezza. Alla misura davvero notevole dell’interpretazione di Piero Sammataro, un Frate Domenico di ieratica potenza e a quella di Agostino Zumbo, il controverso Guglielmo de Flavy, si è opposta una Lina Sastri con un recitativo non sempre limpido e, nonostante la passione e la partecipazione, il personaggio di Giovanna d’Arco non è venuta fuori nella caratterizzazione adeguata.
Le sante non sono per tutte…
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