“Stanno tutti bene tranne me” Luisa Brancaccio racconta il suo libro d’esordio


Quando si chiude il libro non vanno via. Sono i personaggi creati da Luisa Brancaccio nel suo romanzo “Stanno tutti bene  tranne me”.  Donne come Margherita, afflitte, depresse, sensibili ma tutto sommato vincenti, ce ne sono tante.  Così come tante sono le famiglie apparentemente tranquille ma che in realtà nascondono drammi. Tutto in un romanzo di una scrittrice esordiente nata a Napoli. E’ la storia di Margherita, appunto, di un “marito – bestia”  e di incontri casuali con altri dolori ma anche con la salvezza. Vite che si incrociano come quelle dei vicini  di casa che perdono un figlio e vanno a vivere in campagna o dello psicologo anziano che riscopre il gusto per la vita.

Un libro forte,  dove il filo conduttore  sembra essere la violenza ma è anche un libro di speranza e di riscatto come spiega l’autrice.

“L’idea del personaggio di Margherita è nata perché volevo scrivere dell’incesto seduttivo, un tipo di abuso molto difficile da superare. Rispetto all’incesto esplicitamente violento in cui i ruoli di vittima e aggressore sono chiari a tutti i membri della famiglia, l’incesto seduttivo è strisciante, occorre “disperdere quella sostanza fumosa e confusa di cui sono fatti i sogni notturni, gli incubi, quella sostanza che rende la mente incerta, incline all’amnesia e alle interpretazioni”. Ha bisogno un testimone che riporti alla realtà (la famiglia può essere un luogo estremamente pericoloso per la sua caratteristica di chiusura, di assenza di testimoni). E Margherita, la madre, è appunto la spia d’allarme. E’ quella che sente che c’è qualcosa che non va, che si fa carico del malessere di tutti e lo esprime come malessere personale”.

– Mentre il marito e i suoi tre figli conducono una vita apparentemente perfetta, lei è depressa, è malata, dorme tutto il giorno stordita dai sonniferi. Che cos’è questo, un modo per non vedere cosa succede in casa, un modo per non affrontare il dolore?

“A stare male in realtà è il resto della famiglia. Margherita è sensibile, raccoglie indizi, vibra a ogni spostamento d’aria. Certo sta impazzendo di angoscia, sente dolore e disperazione attorno a sé ma è tutto segreto e nascosto e lei non sa che fare.

–  Sarà il suicidio di uno dei suoi figli il punto di non ritorno. Da lì in poi non sarà più possibile continuare a sostenere che è tutto a posto.

“Esatto, Margherita vuole capire e inizia a mettere insieme i pezzi. Fino alla scoperta dell’orrore”.

–  L’orrore è incarnato dal marito di Margherita, la bestia, il male assoluto.

“O più banalmente l’esercizio del potere del più forte sul più debole. L’abuso”.

– Luisa,  per fortuna ci sono anche altri tipi di uomo nel romanzo. Lo psicanalista di Margherita, per esempio, è una persona positiva, con una morbidezza quasi femminile, del tutto speculare alla durezza del marito.

“Il dottor De Seta è un personaggio a cui sono molto affezionata. Il ruolo di psicanalista è un ruolo dominante, come quello di padre. Ecco, il dottor De Seta rinuncia alla sua posizione dominante, come tutti noi dovremmo rinunciare ai padri, agli psicanalisti, ai mariti, ai maestri, ai capi, alle divinità, ai governanti. E’ un uomo che propugna libertà”.

– Si vede che ti piace e fai in modo che anche il lettore non possa che sentirsi incantato dalla sua umanità. Per un intero capitolo lo seguiamo in una passeggiata notturna nel giardino condominiale insieme alla sua vicina di casa. Sono buffi insieme, lei ha ventun anni e lui ottantadue. Il loro è un rapporto alla pari?

“Ci provano. Non è facile. Per tutta la loro breve storia la ragazza da del lei al dottore e lui da del tu alla ragazza. La ragazza gli riconosce una posizione di superiorità per l’esperienza acquisita con l’età, a un certo punto gli chiede quale sia il modo migliore di vivere”.

– E lui cosa risponde?

“Copio e incollo : “Vorrebbe confessare che non ha niente da insegnare, che l’unica via alla conoscenza è l’empatia, mettersi nei panni dell’altro ed espandere la propria esperienza. E per assistere alle strategie dell’altro bisogna vivere insieme, abitare nella stessa casa. Il dottore guarda la ragazza. Sarebbe stato bello allevarla, sentire se ha la febbre mettendole una mano sulla fronte, accompagnarla a basket, andare a riprenderla, farle da mangiare.  Ma la ragazza gli chiede informazioni sul mondo vero e si aspetta risposte rassicuranti, geometriche, virili. I perimetri, la realtà, i confini. E lui non saprebbe accennare a niente di più certo che se gli chiedessero dei confini dello spazio infinito, della forma dell’universo, del suo significato. O del suo uso corretto.”

–  E’ come se il dottore resistesse agli attacchi della ragazza, della sua energia, della sua giovinezza, della sua inesperienza, della sua rigidità. E della sua carica erotica, anche?

” Resiste, sì. Ma a volte cede”.

–  Come il dottore e la ragazza, nel tuo romanzo sono tutti vicini di casa. Perché?

“Rinuncio a una trama troppo strutturata. Affido le relazioni al caso, ci si incontra in modo fortuito”.

– Il romanzo è formato da racconti che si incrociano in modo fortuito. Sono vicende che hanno senso anche se vengono lette singolarmente. C’è il primo capitolo, per esempio, completamente sganciato dal resto del libro tranne che in un singolo punto, un accenno al suicidio del figlio di Margherita.

“Il romanzo in cui tutto torna, tutto serve alla trama, a volte mi sembra artificiale. Nella vita reale scendo a buttare la spazzatura all’una di notte, mi chiudo fuori casa per errore, chiedo a un passante di farmi usare il suo telefono e dopo un anno ci sposiamo”.

– Ti è successo veramente?

“No. Ma potrebbe. E vivere con questo senso di possibilità sempre presente dà un certo brivido”.

– Ognuno ha il suo lutto in questo libro, ognuno lo affronta in modo personale. Il dottore, Margherita, i suoi vicini di casa. E il romanzo si chiude proprio con la storia dei vicini di Margherita che vanno ad affrontare il loro dolore in una casa nel Chianti, in campagna. Quello che colpisce in quest’ultima storia è lo sgomento di un uomo che vede la moglie allontanarsi e non sa che fare. La sta perdendo e non riesce a far niente. Perchè?

“La morte del figlio neonato ha spezzato il patto tra lui e la moglie, la relazione si dissangua. Lei reagisce con una energia feroce, un ruggito, un cambiamento radicale – risponde Luisa Brancaccio -. Lui invece cerca di conservare, di lasciare tutto com’è, anzi, com’era prima della morte del bambino”.

– Quindi si lasceranno?

” I lettori mi scrivono moltissime email per sapere come andrà a finire. Lei lascerà il marito e si fidanzerà con l’altro? Questa cosa mi fa molto ridere ma mi fa anche piacere, vuol dire che percepiscono i personaggi del romanzo come persone vere. E’ il senso della letteratura, identificarsi, espandere la propria esperienza. Una vita più ricca”.

 –  In effetti è una delle cose che colpisce del libro. Le persone sono vere, se gli metti uno specchietto davanti alla bocca si appanna. Le emozioni non sono mai affidate alle parole ma a elementi fortemente simbolici disseminati dappertutto nel romanzo. Ogni immagine ha una forte risonanza emotiva. Il suo è un romanzo denso. Che cos’è, talento, impegno, metodo, cosa?

“E’ senso della responsabilità per quello che fai. Credo. E impegno anche, sì. Sono meticolosa”.

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