TSO, un’esperienza in reparto pschiatria


TSO

TSO, una sigla oscura per molti, ma che brucia più del fuoco sulle carni di quanti se ne accostano:  Trattamento Sanitario Obbligatorio. Da più di un anno mi giro tra le mani uno scritto che mi ha bruciato l’anima e solo ora trovo la forza di recensirlo. Il 18 Giugno 2013 partecipo ad un incontro organizzato da vari comitati di solidarietà sociale; la campagna si chiama “liberamente” e nasce per la tutela dei diritti civili delle persone sottoposte a trattamenti psichiatrici contro la propria volontà cioé al TSO. Una relatrice colpisce la mia attenzione: il suo nome è Magda Guia Cervesato e ha scritto un testo  dal titolo TSO , un’esperienza in reparto psichiatria, (Sensibili alle foglie, 2012 Collana Ospiti 79,pp 96). La prefazione di Pietro Barbetta, psicologo e psicoterapeuta, sottolinea il rapporto consustanziale che si produce tra l’autrice, la protagonista e il lettore che vivono insieme gli eventi che la prima ha creato e gli altri due attraversano. La vicenda copre un arco di tempo di sette giorni ma  ha ripercussioni più estese. Un sabato qualunque di una settimana qualunque, una giovane donna ,gravata da un’ eccesiva sensibilità e oppressa da un fallimentare rapporto di coppia,  va in estasi (proprio come i grandi santi della tradizione cattolica e la  testa ,metaforicamente, le si stacca dal tronco. Si trova a navigare, fuori di sé, nel mare ovattato dell’essere, vorrebbe parlare ma riesce solo a sorridere inebetita dal distacco. Non è drogata, non è pazza. Come si chiarificherà  in seguito, la donna è solo affetta da una forma dissociativa isterica , determinata da un forte stress.  Nella immediatezza le viene però diagnosticata una psicosi  da curare in un  SPDC ( una sorta di universo concentrazionario).

Un interno del manicomio di Volterra TSO
Un interno del manicomio di Volterra

Al medico di turno che la interroga ,vorrebbe dire tante cose: “non mangio da vari giorni, non bevo , non dormo, il mio compagno, padre della mia bambina, mi sta abbandonando”. È già spazzatura, anche se riuscisse a parlare nessuno l’ascolterebbe. Le viene intimato di prendere la bambina che è in macchina col padre. Non l’aiutano , non ce la fa a camminare, è confusa ma, come un automa,  va a prenderla. È un fantasma che si proietta all’interno , tuttavia esegue: ritorna all’interrogatorio.  Inizia il calvario, la bambina la viene tolta, lei entra nel” Lager”. La realtà di per sé amara,viene certamente alterata da una mente sovreccitata: oggetti, corpi, parole sono captati in un’atmosfera nebbiosa di limbo coscienziale. Tuttavia si sforza di non perdere i contatti con la realtà, osserva tutto, registra, elabora. Si trova in un mondo separato ,dove non valgono i diritti, dove tutto è sottoposto all’arbitrio e alla violenza, una sorta di prigione, le cui sbarre sono i farmaci del  TSO. Si fa furba e decide di lottare. È consapevole che non è lei la malata, ma la vita che l’ha costretta a fare scelte sbagliate o a subirle da altri. Percorre il suo passato e ha piena contezza dei  meccanismi che le hanno causato un disturbo borderline. Raggiunge la consapevolezza che  i “Matti” sono fantocci ,alimentati da farmaci alienanti che hanno un effetto talmente devastante da divenire causa di quello che dovrebbero curare. Un matto è una fragile piantina che cresce in un  vaso crepato: deve essere sostenuta con delicatezza e curata con amore. Lei riesce a ritornare alla vita, a percorrere un cammino di salvazione sconfiggendo l’assenza di pensiero e rientrando in possesso della sua testa mozzata. E gli altri ? La sofferenza della lettura di questa testimonianza mi ha indotto ad accendere una celeste lanterna sull’argomento ,per portarlo all’attenzione di quanti non sanno o non vogliono sapere.

Articolo Precedente Nesli: “A un certo mi sono detto: è la fine. E invece…”
Articolo Successivo Biobanche di ricerca in Sicilia, la Regione approva la legge

Scrivi un Commento

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *