Perdere i siensi è stato il titolo scelto dal Professore Lo Vecchio, curatore dell’intervista, per la presentazione dell’ultimo libro di Vinicio Capossela, Il paese dei coppoloni, avvenuto ieri nell’aula magna De Carlo del Monastero dei Benedettini. Le domande che il docente di Filosofia e teoria dei linguaggi ha posto al cantautore volgevano infatti alla scoperta dei significato e della stratificazione dei siensi, così come intesi nella poetica di Vinicio Capossela e nel dialetto della sua zona d’origine: l’Irpinia. I siensi, più che i sensi come convenzionalmente intesi, sono infatti una
forma di astolfiano senno. L’itinerario del romanzo è “alla ricerca dei siensi perduti”, come ha citato proustianamente Capossela, o antiteticamente verso la perdita stessa dei siensi, e si dirama tra le stradine rocciose e arroccate di Calitri, luogo d’origine e dell’anima. Il paese dei coppoloni si riferisce proprio alla gente del luogo, isolata, antica e mitica. Il libro di Vinicio Capossela, e tutta la sua discografia e bibliografia, come ha fatto notare ulteriormente il professore Lo Vecchio, sono pregne di segni e metafore che si stratificano e ripercorrono durante il tempo della sua maturità. Il romanzo è stato cominciato, infatti, 18 anni fa e come ammette l’autore “è un viaggio nella terra d’origine, un percorso legato al senso d’appartenenza, verso l’unità che lega cielo e terra.” Vinicio, abituato ormai ad un senso di appartenenza portatile, si confessa legato ad una zolla mitologica che porta sempre con sé. “Il senso del ritorno e la perdita del ritorno – aggiunge l’autore – appaiono legate all’infanzia del mondo, a quell’unità primordiale che riconosciamo nei siensi”. Quell’infanzia che si può ritrovare nell’antichità del nostro mediterraneo che come spiega Capossela “rispetto alle vastità americane che si misurano in kilometri, si estende in secoli. Bisogna scavare nel tempo per capire.” Il professore ha poi sottolineato come nelle opere passate di Vinicio Capossela la grande cultura del mondo venisse mischiata al disfacimento, all’assenza di bellezza, mentre in quest’ultimo libro il narrare procede in maniera più lineare, non a sprazzi come prima. “Il raccontare picaresco ha subito una conversione, – specifica Lo Vecchio – dall’anonimato si è passati ad una caratterizzazione ben precisa. Forse per Vinicio è arrivata la maturità”. Non poteva infine mancare un momento di silenzio e riflessione sugli attentati di Parigi: “In questi momenti di grande vuoto – conclude Vinicio Capossela- si avverte l’inutilità dei nostri atti, cambiano i siensi e i sensi del nostro vivere.”
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