VladyArt: “Gli artisti non vogliono trasferirsi in Sicilia”


Nella foto l'opera di VladyArt PuPazzo trash
Nella foto l'opera di VladyArt PuPazzo trash

VladyArt è oggi uno dei nomi più interessanti del post-graffitismo (quel blend d’arte urbana che unisce elementi della cultura dei graffiti ad altre esperienze del XX secolo come situazionismo, artivismo, informale e concettuale) in Sicilia, capace anche di varcare i confini nazionali (vanta numerose citazioni su siti web di settore internazionali).

Ha vissuto a lungo tra Milano e l’estero, ha esordito nel territorio catanese introducendo nuove forme di arte urbana (street art) decorativa e dalle inusuali collocazioni (la coccinella di San Giovanni Li Cuti, per dirne una).

Arte urbana intesa come concettuale. Con un messaggio importante da inviare, senza un volto al quale fare affidamento. Come e quando ha deciso di intraprendere questa strada?        

Nella foto un'opera di VladyArt intitolata Unesco Catania
Nella foto un’opera di VladyArt intitolata Unesco Catania

“L’arte urbana è raramente concettuale. Operare e installare qualcosa in città che richieda prolisse spiegazioni per essere capita al meglio… è un non-senso. In strada si favoriscono discorsi facili da cogliere, immediati, anche se non necessariamente per tutti. Però lo spazio urbano e gli spazi aperti in generale si prestano per essere lo scenario di fondo di molti linguaggi concettuali. È così che è nata la land-art e per certi versi anche la prima street art, prima che i muri diventassero ambite superfici da dipingere. Premetto che non c’è sempre un messaggio da inviare, se intendiamo un messaggio civile e sociale. A volte si esegue qualcosa per il piacer di fare o per la bellezza, il colpo d’occhio che ne consegue. La street art è sempre portatrice di valori specie quando è eseguita illegalmente: come minino parlerà di rimpossesso del territorio e superamento delle logiche predefinite, quindi c’è sempre una matrice politica. Rincorrere a tutti i costi un messaggio… uccide l’arte. La vita è fatta di tutto, io cerco di toccare molteplici temi per delle persone x, che non conosco: conosco il volto di pochissimi tra chi mi segue.

La street art è sempre portatrice di valori specie quando è eseguita illegalmenteIl mio progetto artistico non nasce come un progetto. È frutto del caso; se avessi lucidamente deciso a tavolino di iniziare con la street art, mi sentirei un “fake”. Io ho iniziato da bambino (come tutti) però (a differenza di molti) non ho mai smesso. L’arte è un gioco e il giocare è una necessità. Anche io, armato di UniPosca, scrivevo ovunque il mio nome a cavallo tra ‘80 e ‘90. Così decisi di frequentare scuole dove disegnare fosse legale: Istituto Statale d’Arte e Accademia di Belle Arti. Quella di via Crociferi era la scuola più bella del mondo. Quella di Brera a Milano era l’accademia che avevo sognato. Finiti gli studi, nel 2003 creai un sito di secondo livello con il nome di VladyArt. Questo divenne l’archivio per le mie opere e quindi il mio nome per gli altri. Nel 2005, stanco di fare arte sotto i lampadari, incominciai a farla all’aperto. Avevo in mente di dare una seconda identità a oggetti ordinari. Colorai anonime e grigie vasche per l’acqua e le feci diventare mucche. Finché un giorno del 2008 mollai il lavoro e alzai l’asticella del rischio per portare l’arte urbana dove non era mai stata a Catania: negli oggetti, sull’arredo, nelle spiagge. Il nome del mio sito divenne a breve un caso; d’interesse per qualcuno”.


 
Ha esordito nel territorio catanese con un tipo di arte forse un po’ “fastidiosa”. Perché?

Azione artistica di VladyArt a New York
Azione artistica di VladyArt a New York

“E non sarà fastidiosa mai per tutti. Anzi. Ho avuto così tante esortazioni a continuare, che avrei dovuto sperimentare operazioni di crowdfunding. Specie anni fa, la gente mi tirava per la giacchetta affinché io facessi questo e quello, nel nome della legalità o della protesta ma pure in nome della bellezza. “Tu puoi farlo”, “se lo farai immagina la reazione”. Quando le lotte coincidevano con i miei ideali e quando fiutavo un margine creativo o divertente, accettavo. Mi vengono in mente le incursioni per le cause mobilità/ciclismo e ripristino di spazi abbandonati. Siamo tutti creativi e rivoluzionari con la fedina penale degli altri. Comunque, più che fastidio io direi disturbo; l’arte disturba e maltratta l’ordinarietà, lo status quo. Non tutto il disturbo vien per nuocere tant’è che ho spesso divertito le stesse “vittime” dei miei interventi performativi”.

 Come nasce un suo progetto artistico?

“Nasce con l’osservazione. C’è molto, ma molto di più tra le cose che guardiamo. L’arte può nascere ovunque, con tutto. L’ispirazione la prendo dal quotidiano, dall’esterno e dall’interno. Rubo le chiavi di lettura della mia arte da quella oratoria, cioè prendo alcune figure retoriche e le converto in linguaggio visuale: la metafora, il paradosso, l’allegoria, l’allusione, l’assonanza e altro ancora. Siccome quando osserviamo qualcosa di nuovo e di curioso ci facciamo mille domande e poiché le domande si pongono con le parole… uso la retorica anche nelle immagini. Adoro il trash, il paradosso, l’assurdo, il surreale, l’illogicità, la drammaticità della decadenza, i contrasti, il sarcasmo. Un’idea di progetto arriva come un fulmine. Talvolta devo annotare tutto altrimenti fugge. Non avrei fretta però mi esorto a darmi una mossa perché il mondo è grande e siamo in tanti a essere impegnati nella produzione intellettuale. Prima esplicito il concetto e più alte sono le chance che sia qualcosa di ragguardevole. Non sempre ci si riesce. Questa fretta può nuocere alla finezza e alla forma del progetto. Ma uno street artist non si può permettere anni di studio per partorire una trovata, che se non è buona, diventa grottesca (non c’è di peggio di un lavoro smisurato che risulta mediocre).

Intervento artistico di VladyArt
Intervento artistico di VladyArt

Ha mai avuto problemi durante i suoi “interventi” di  street art?

“Più rischi, più problemi. Ci sono errori che devi commettere per capirli ed evitarli in futuro. Parlo sia di materiali, che di tempi, che di scelte ma parlo pure del discorso “legale”. Io non fuggo la legge: ogni gioco ha le sue regole ed è normale che alcuni giochi finiscano male. Non mi aspetto che tutto possa essere tollerato. Un sacco di azioni contro la proprietà privata o il bene pubblico infastidiscono anche me”.

 Oggi come definirebbe il suo modo di fare arte?

Opera di VladyArt
Opera di VladyArt

“Ottima domanda, che mi pongo anch’io. Mi trovo dentro quella corrente dell’arte che si chiama “postgraffitismo”, tuttavia questo termine non mi calza a pennello. Non ho, infatti,  tramutato il mio segno dai graffiti a qualcosa di diverso; sono postgraffitista nel senso che la cultura urbana (e dei graffiti) ha una grossa influenza su di me, ma parto subito dal discorso a seguire, comunemente detto street art. Sono vicino più genericamente parlando ad ogni forma d’arte concettuale che usa lo spazio come laboratorio o atelier. Il mio modo di fare arte? Minimale, d’improvvisazione, intimista, low-tech, lo-fi, effimero, sarcastico, paradossale, crudo e talvolta sociale. Potrei benissimo rincorrere larghe platee e disperatamente inseguire maggiore visibilità in città, ma, da un canto ritengo che sia una pagliacciata, dall’altro ho da qualche tempo bypassato il discorso “locale”: la mia audience è nazionale e internazionale. I localismi sanno di poco e non li capirebbe nessuno fuori di qui”.

Come immagina il futuro dell’arte a Catania?

“Non è la prima volta che me lo chiedono. Non intendo vivere all’infinito qui, per cui potrei anche fregarmene. Però è un bel quesito e rispondo volentieri, aggiungendo altre considerazioni. L’arte non ha un futuro indipendente dal progresso e dall’economia; una scena contemporanea florida è sintomo di benessere e progresso culturale. Non serve investigare troppo per capire come stanno messe le cose qui. Se nella crisi e nel disagio aumentano gli spazietti creativi (affitti più bassi) e aumentano le persone dedite all’arte (la disoccupazione libera le mani), è anche vero che senza una prosperità diffusa, l’artista contemporaneo non può ottenere soddisfazioni economiche. Inoltre, in questo settore è normale spostarsi, per formarsi e per esporre. A noi interessano le sorti di un’area più ampia, non potremmo di certo essere sostenuti da una città e basta. I prossimi anni ipotizzo un aumento di molte piccole realtà, l’apertura di alcuni spazi espositivi, disponibiliI prossimi anni ipotizzo un aumento di molte piccole realtà, l’apertura di alcuni spazi espositivi, disponibili; molte associazioni e reti sociali, molti micro eventi di questo e quello pubblicizzati alla meglio. Sembra uno scenario accattivante ma non è così: è il canto del cigno. Si fa questo per non chiudere e sparire. E tanti nuovi apriranno, per poi chiudere. Perché sotto la ‘fuffa’ c’è poca vendita. Non c’è fermento che possa durare senza soldi. L’economia culturale non si può sostenere con le poche birrette vendute la sera, perché non beviamo tanto come a Berlino. Esporre per esporre, senza compensare le spese, è gravoso.

VladyArt interviene artisticamente sul prospetto di un'abitazione
VladyArt interviene artisticamente sul prospetto di un’abitazione

Se non si spende, non si può pensare in grande. Catania, come altre realtà depresse, non ha un chiaro futuro, perché ha problemi non risolvibili con questi mezzi/persone a disposizione. Tireremo a campare e non detto che siamo giunti al peggio e passerà. La buona economia non è “io vendo e tu compri” qualcosa, e basta. Non può essere un circolo finito limitato ai nostri abitanti. Dovremmo produrre e creare molto di più, esportare prodotti e importare soldi e personeDovremmo produrre e creare molto di più, esportare prodotti e importare soldi e persone. Certo, ci saranno sempre la politica, il commercio e lo Stato a fare lavorare molta gente ma… questo non è crescere, è boccheggiare. Abbiamo come città gli stessi abitanti di Bilbao: devo adesso svelare cosa hanno più di noi? Abbiamo un potere attrattivo bassissimo, capace solo di attrarre altri siciliani o attirare gente dal mare, da un mare di problemi. Gli artisti stranieri che hanno liberamente scelto di trasferirsi qui? Li puoi contare sulle dita di una mano. Peccato, perché abbiamo zone belle e verdi come la Toscana.

Catania ha perso oltre centomila abitanti in trent’anni. Molti abitanti sono fuggiti verso l’hinterland, dove c’è meno di zero: non una galleria, non un centro culturale, a stento e forse un chiosco come centro d’aggregazione. La brutale analisi sul futuro di alcune città del sud non l’ho formulata io, ma importanti economisti stranieri. A prescindere da questo, oggi uno dei mercati dell’arte più dinamici al mondo è la Cina, altro che Italia”.

Intervista di Andrea Caruso (allievo dell’Accademia Euromediterranea di Catania)

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