CATANIA. Due appuntamenti trasversali hanno costellato a Catania “La Giornata della Memoria”.
“Ho solo obbedito agli ordini”, uno studio drammatico sotto la guida di Gioacchino Palumbo, atipica mise en espace nell’accogliente bistrot della Feltrinelli di Catania e l’installazione performativa “Mnemosyne, fidati della traccia di lacrime” di Umberto Naso al Centro Zo.
Due momenti intensi e per certi versi assimilabili, anche se il primo, uno studio drammatico, era incentrato solo su due testi che affrontavano, per angolazioni opposte, il tema dell’Olocausto.
“L’ intento – ci ha spiegato Gioacchino Palumbo – era da un canto, di raccontare gli eventi vissuti da parte delle vittime e dall’altro di continuare a interrogarsi su come sia stato possibile un orrore così indicibile”. Così ad ergersi sul silenzio che spesso s’impone davanti a tanto orrore la straordinaria figura di Hetty Hillesum, vissuta in Olanda durante l’occupazione nazista e morta ad Auschwitz, che riscatta la propria sofferenza trasformandola in punto di partenza per il raggiungimento di una più alta coscienza, di una definitiva liberazione interiore. Una coscienza che la porterà, pur avendo avuto l’ occasione di salvarsi, a scegliere di condividere il terribile destino della sua gente. I suoi diari, costituiscono la testimonianza bruciante e luminosa di questo suo percorso: “Ascoltarsi dentro. Non bisogna lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s’innalza dentro”.
Con “Lasciami andare, madre” di Helga Schneider – che racconta di una donna tedesca che abbandona i suoi due figli per andare a lavorare nei campi di sterminio – il punto di vista è invece straniato: quello del carnefice. Che, cancellato ogni capacità di spirito critico e ogni barlume di etica, nel corso di un lacerante dialogo con la figlia, rivendicherà la sua scelta senza mostrare alcun cenno di pentimento. “Io non ho colpa – dice con aberrante e gelido pragmatismo – ho solo obbedito agli ordini.” Le brave interpreti di questi testi sono le attrici del Laboratorio D’arte Drammatica del Teatro del Molo 2 di Catania, ovvero: Giuliana Catania, Federica Lanza, Laura Mancuso Prizzitano e Franca Scardilli.
In “Mnemosyne” sette voci intersecate – Saragei Antonin, Valeria Anzaldo, Heike Brunkhorst, Massimiliano Giusto, Roman Herzog, Patrizia Lascari, Nora Patuzzi, Elena Simona Pauna, Luca Recupero – insieme a quelle del coro “Doulce memoire”, diretto da Bruna D’Amico attraversano e sfidano il silenzio lancinato solo da rumori di fondo (e dalle note dell’organo di Enrico Dibbernardo): sferragliare di vagoni e tradotte, sequenze di bombardamenti, stridore di morte in un alternarsi di luci fioche – poche schegge di luce – e parole. Sono quelle di Arendt, Brecht Celan, Eliot, Maraini, Orlev Rossanda, Spiegelman, Weiss e Uhlman coronate da quelle sinistre di Mussolini e di Hitler. Accanto a queste memorie terribili – l’alternarsi parallelo dell’italiano e del tedesco ne connota fortemente l’impatto – anche un accenno di coreografia, a cura di Sebina Maugeri e Jessica Paglia, nelle movenze asciutte di Veroni Giuffrida e di Jessica Paglia. Attorno al male impunibile ed ingiustificabile della Shoà – l’ultima campana a morto dell’Illuminismo – Umberto Naso tesse col suo stile austero una performance essenziale (a volte greve) con lo scopo riuscito “di infrangere le difese nei confronti del dolore per abbandonarci all’orrore assoluto”. Al vertice di questa anti-declinazione – della retorica della celebrazione e dell’utilizzo normalizzante della memoria – si colloca la poesia, ovvero il silenzio pronunciato, il logos di un senso e di un dissenso da affidare ad ogni traccia di lacrime.
Scrivi un Commento