È un sodalizio artistico ormai ben collaudato quello che lega Cosimo Coltraro ed Emanuele Puglia. Coppia vincente sul palcoscenico, nei teatri siciliani. Ne hanno dato ulteriore prova, se mai ce ne fosse bisogno, ieri sera al debutto de Il calapranzi di Pinter, in scena a Teatro del Canovaccio di Catania, per la rassegna XXI Scena.
Scritto cinquanta anni fa, Il calapranzi, è ormai un classico del teatro contemporaneo; affrontarlo oggi significa sottolinearne la forza e l’attualità. Mettere in scena questa moderna metafora dell’inquietudine umana spesso ha incontrato il favore dei teatranti da un lato proprio per la semplicità che richiede l’allestimento, dall’altro per le possibilità recitative che offre ai due protagonisti, per il plot tutto sommato lineare che prescinde, volendo, dall’esistenza di altri significati che quest’atto unico, opera simbolica del cosiddetto “teatro dell’assurdo”, sicuramente propone. E lo spettacolo a cui ieri sera abbiamo assistito si adegua perfettamente a quell’idea, che in teatro non è di certo un mero modo di dire, che “non è ciò che si fa, ma è il come si fa che cambia il tutto”….
La vicenda ruota attorno a due killer professionisti, Ben (Emanuele Puglia) e Gus (Cosimo Coltraro), i quali lavorano per una oscura organizzazione criminale di cui costituiscono “il braccio”. L’azione si sviluppa nel seminterrato, piuttosto spoglio e desolato di un vecchio ristorante, dove i due protagonisti sono in attesa di istruzioni sul nuovo compito da portare a termine: Ben – il più autoritario dei due – trascorre il tempo leggendo il giornale; Gus ponendo insistenti domande, destinate, però, a rimanere prive di risposta. La tensione è acuita dai misteriosi messaggi che vengono fatti recapitare loro attraverso un calapranzi, dal quale scendono apparentemente insensati, che celano, invece, istruzioni in codice provenienti da un ignoto personaggio, che pare così mettere alla prova la fedeltà dei due killer. L’attesa è snervante e i due riempiono il loro tempo parlando di cose futili, in un crescente stato ansioso che li porta allo scontro verbale e che scopre nelle loro parole e nei loro atteggiamenti un’involontaria comicità. I dialoghi sono, infatti, di una quotidianità sorprendente, tali da apparire privi di senso in quel particolare contesto e in contrasto con la “missione” che li aspetta, a preludio del sorprendente finale. E sono straordinari Coltraro e Puglia nel loro “vivere” in scena, la scena, nello svolgimento del groviglio dei rapporti, che invece, inizialmente è criptico. E la loro capacità espressivo-recitativa esplode quando i due attori cominciano a muoversi intorno ad un cardine di natura sfuggente, dapprima involontariamente, poi con sempre maggior coerenza e chiariscono progressivamente tutti i nodi e gli snodi dialettici. Grazie all’interessante regia di Nicola Alberto Orofino, emerge la sostanza teatrale di questa materia che è talmente alta che ogni cosa, nello spazio scenico, acquista colore, sapore, eco e ridondanza, malgrado la messinscena si serva dell’elemento classico attraverso la scenografia ed i costumi di gusto un po’ retrò, riproponendo così lo stile scarno e caratteristico di certi testi anglosassoni.
Il pubblico si ritrova inconsapevolmente a decifrare la dimensione in cui vivono i due personaggi e il labirinto del loro rapporto mediante frammenti noti di piccole sopraffazioni, ansie, egoismi, minacce, vuoti di vita e di improvvisi turbamenti grezzi ed infantili. Ma ecco che, in una attesa di densa frustrazione, qualcosa accade ed il racconto si anima precipitando al suo destino in forza dell’improvvisa irruzione, dall’ esterno, di una presenza misteriosa, seppur innocua, un vero e proprio personaggio, oggetto e figura che assume un autentico ruolo di… servo muto : un passavivande, il calapranzi, appunto. L’allestimento di questa pièce e di questo testo, dunque, passa, sicuramente, attraverso l’uso del linguaggio, le pause, i silenzi che si contrappongono a dialoghi serrati e spesso caratterizzati da un’involontaria comicità amara che sottolinea il carattere dei due protagonisti facendone un riuscitissimo duo comico quasi…. alla Stanlio e Ollio, per intenderci. E gli applausi scoppiano sinceri, da un’ entusiasta e soddisfatta platea.
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