Emanuele Belloni… e sei arrivata tu


I viaggi a volte iniziano e mica finiscono. I viaggi d’amore poi sono quelli che non finiscono quasi mai.

Questo di Emanuele Belloni è un viaggio due volte nell’amore: l’amore per la vita e quello per la musica. La storia comincia da Come un commosso viaggiatore, brano d’apertura, uno splendido impostore. Tu sarai l’oceano e io il naufrago.

Con queste parole forti ed intense, a 42 anni, si presenta nel suo disco d’esordio. E sono tanti i perché che vi si nascondono dietro, ma anche davanti sulla scena del palco, anche perché aperti come le calde corde della sua chitarra.

Dolcemente si entra in questa magica stazione musicale, si sale sul treno e si parte in cerca di musica, d’amore: e sei arrivata tu falsa poesia, a confondermi sempre di più, strana idea. Una metrica lenta.

Ecco, la musica di Emanuele arriva con il passo della metrica lenta e ti porta dentro la bossa nova, dentro il samba del Brasile, che è poi quello del grandissimo Guinga che con Belloni collabora a braccetto in molti brani. Quello con Guinga è un incontro magico con colui che si può considerare oggi il vero erede di Villa Lobos, Tom Jobim. Emanuele l’ha voluto, cercato, stanato, portato in studio e da lui ha anche un pochino rubato i segreti della grande chitarra brasileira. E di un cantato unico e vibrante.

Così è la sapienza di un grande maestro che entra nella musica di Belloni e la trasforma e le regala nuova magia e ti fa intravedere orizzonti aperti e lontani. Accade in E sei arrivata tu, la seconda traccia, dove Emanuele si appoggia delicatamente ai fiati di Franco Piana.

Si avanza così di goccia in goccia, e di canzone in canzone. Magia della vita e di quell’arte dell’incontro che dal Brasile arriva fino a noi.

Se l’amore fosse: canzone di equilibrio sopraffino. Canzoni che stanno appunto in equilibrio su di una duna di sabbia e che il vento può far rotolare via, per poi ritrovarle pochi metri più in là trasformate in rocce.

Sono undici canzoni arrangiate acustiche, ma che trattengono l’eleganza di una sapienza antica e la delicatezza di un tocco d’estremo oriente come nella Ballata del fuoco e l’acqua. Calma spenta di una spiaggia vuota. In cui improvvisamente s’innalza la voce e l’oud di Ziad Trabelsi.

Solitudine e voglia e desiderio di moltitudine, strani circostanze come accade ne Il circo che vede la presenza di Enzo Pietropaoli. O in Lolita, altro denso incontro del destino, dove spicca il sax di Michael Rosen. Pietra su pietra, cuore su cuore: ci sono giorni che non si muore da soli. La terra è fatta così, porta rabbia e dolore. Fa tremare ma è fatta così.

Insomma, un giorno, nella vita di Belloni è arrivata questa musica che ascoltate nel suo disco d’esordio. E’ arrivata come Un sole d’amore. Da prendere a note e con gocce di cera.

Disco d’atmosfera e di soli intensi di chitarra, appoggiati sulle dita e sfiorati con il canto caldo ed avvolgente di Emanuele.

Lavoro en plen air, come la pittura impressionista che affiora ancora in brani quali Lo sceriffo del west, ovvero l’uomo che non c’è, uomo che vende sogni dai fondi del caffè. Cullami dentro, cullami l’anima.

Il potere di canzoni che possiedono micidiali ritornelli che potrebbero essere canzoni nelle canzoni, ma che la sensibilità del loro autore lascia solo affiorare per poi spengerli; veloce onda che si infrange invisibile sulla risacca.

Belloni è una strana figura di cantautore, uno che fa altro nella vita, uno che dice di se stesso: Provateci un po’ a prendermi. Una delle più belle canzoni del disco, leggerissimo tango in cerca dei corridoi dell’anima. Per infrangere le regole ed accettarsi comico senza più gelosia e nuova musica. E vai così! Se lo dice tra i denti, ma anche al pubblico che lo ascolta.

Provate un po’ a prenderlo Emanuele Belloni: chansonnier, contrabbandiere, burbero che al massimo se va male lo prenderanno. E allora?

Tanto lui è capace di nascondersi tra dogane e valichi e di trasportare solo quello che possiede.

E con questo incedere ed andare da simpatico guascone che si ritrova su L’ultimo treno dei miei sentimenti, giorni a venire, l’ultimo gioco, quello di non ripartire. Appunto, arrivare e non ripartire, o meglio far partire piuttosto il senso di essere preso come un pugile all’angolo steso. Ma non deragliare mai. Anzi cantare contro e cercare riparo dalla grandine. Aiutato proprio in questo brano dal controcanto dello stesso Guinga.

E si finisce nel tanto amato Brasile, con la splendida Era no mar e qui siamo a Bahia, o in qualche altro posto da lui conosciuto del Brasile che non ci rivelerà mai, dentro gli echi riflessi di Caetano, di Vinicius, Toquino, di Chico Buarque, di Joao Gilberto, Tom Jobim, ma senza dimenticare la lezione di Fossati, Mario Venuti, Concato fino a quella nuovissima e vincente di Joe Barbieri.

 

 

 

 

 

 

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