Quello che colpisce di più in questo nuovo allestimento de “La governante” di Vitaliano Brancati (in scena al teatro Verga fino al 3 febbaio), firmato da Maurizio Scaparro, è il diverso modello interpretativo che caratterizza i personaggi. Il registro psicologico della governante, Giovanna Di Rauso, dello scrittore, Max Malatesta e della nuora di Platania, Veronica Gentili, l’influenza rosselliniana della criata, Valeria Contadino, e la sofferente sicilitudine di uno stratosferico Pippo Pattavina con il contraltare del figlio, Giovanni Guardiano, e del portiere, Marcello Perracchio. Il Brancati drammaturgo affonda la lama più del Vitaliano narratore, e di questo si era accorta anche la moglie Anna Proclemer, in procinto di portare in scena questo spettacolo controverso e ambiguo. Lo scandalo non è rappresentato dall’omosessualità di Caterina Leher, ma dalle implicazioni “borghesi” che fanno di quella una colpa. La governante tenta un vano processo di espiazione interna che si rivela, invece, un calvario senza vie d’uscita. Tutti i personaggi sono tormentati, (compresa la Francesca di Chiara Seminara), emerge prepotentemente il fardello della colpa, come quella, mai rimossa, di Don Leopoldo Platania. E sarà, ancora una volta, il patriarca siciliano, a causare inconsciamente la morte delle altre due figlie “adottive”, quella della povera di spirito e innocente Jana, e quella della rigida e fragile Caterina, dibattuta tra un perbenismo bigotto e un’utopica libertà esistenziale. “La governante” è un testo di una potenza drammaturgica inusuale, ribadita da questa convincente versione del Maestro Scaparro.
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