Ho rivisto di recente “Una pura formalità” e i miei sospetti hanno trovato una conferma. In quell’occasione Giuseppe Tornatore dirigeva un altro regista tra i miei preferiti, Roman Polansky, e mi è sembrato di rivivere, a distanza di molti anni, le atmosfere degli ultimi due film del cineasta di origini polacche, “Carnage” e “Venere in Pelliccia”. Un gioco al massacro tra pochi personaggi che ha il ritmo degli avvincenti testi teatrali. Tornatore è uno dei registi più dotati al mondo, lo aveva dimostrato con “Nuovo cinema Paradiso” e lo confermerà con questa claustrofobica e kafkiana pellicola del 1994.
Nel corso della sua carriera ha dato dimostrazione di saper spaziare dal mondo d’origine siciliano fino a cimentarsi con film più complessi e sperimentali. Dunque ha fatto bene l’instancabile Franco Mariotti a volerlo protagonista della 33^ edizione della rassegna “Primo piano sull’autore” di Assisi, che ha visto l’avvicendarsi di critici autorevoli per discutere del suo cinema. Ma anche sodali come Ennio Morricone (una collaborazione la loro che ricorda quella tra Fellini e Rota) e le coppie di giovani attori lanciati da Peppuccio: Marco Leonardi e Agnese Nano, Francesco Scianna e Margareth Madè,
rispettivamente protagonisti di “Nuovo cinema Paradiso” e “Baària”. Tornatore ha anche annunciato che si accinge a girare un nuovo film, “La corrispondenza”, con l’attore Jeremy Irons e prodotto dalla Paco cinematografica, senza accantonare del tutto l’epico progetto sull’assedio di Stalingrado, già idea del compianto Sergio Leone. Ma è stato soprattutto “Nuovo cinema Paradiso” ad essere ricordato, il film che a venticinque anni dalla conquista dell’Oscar, continua ad emozionare, come ha dimostrato la recente proiezione della copia restaurata a Los Angeles, all’interno della mostra allestita da Ninni Panzera.
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