Non esistono autori maledetti, esistono autori autentici che rendono il letamaio umano degno di essere raccontato. Un letamaio di perle da dare in pasto ad uomini ciechi, come nel caso di Jean Genet. Le serve è uno di questi esempi sublimi di grandezza, l’universalità della grande arte, in questo caso teatrale. Qui entra in campo il regista, colui che interpreta e reinventa il testo, che lo rende immortale, almeno così dovrebbe essere. Rosario Minardi c’è riuscito, si è calato nel dramma come aveva fatto Genet con il caso delle sorelle Papin, come aveva fatto Truman Capote prima di scrivere “A sangue freddo” . E’ stato il teatro del Canovaccio ad ospitare questa riuscitissima pìece, con la presenza di tre attori che hanno eseguito alla perfezione il volere del directeur. Le brave Egle Doria, Luana Toscano, e Sergio Valastro che “giganteggiava” in tutti i sensi come in un fotogramma di Alan Parker di floydiana memoria. Le serve sputano sul palco la doppiezza e la meschinità umana, vorrebbero essere come la padrona e ne imitano i gesti e le battute indossando i suoi abiti. Ma vorrebbero anche ucciderla perché non amano essere sottomesse nella realtà, non vogliono essere squallide e subalterne, e cercano di esorcizzare la sottomissione attraverso la devozione. Sta tutta qui la miseria umana, la limitazione corporea che non sopporta le grandi ideologie dispotiche. Per questo motivo i dittatori come Mussolini e Ceausescu sono prima venerati e poi annientati. In questo lavoro genettiano c’è tutta la ferocia classista, populista e sessuale, sì, proprio quella che differenzia uomini e donne. Qui il colpo di teatro lo inventa Minardi, la signora è un uomo, dal cui corpo vengono fuori le espressioni totalizzanti del conflitto, la modulazione della voce, ora maschile, ora femminile, i gesti, ora autoritari, ora melliflui, come nel più spietato dualismo manicheo.
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