Mitipretese a Tindari con le Troiane di Euripide


Mitipretese, dopo il grandissimo successo di “Roma ore 11” e “Festa di famiglia”, sono di nuovo insieme e si aprono alla collaborazione con Luigi Saravo  per dare vita ad un nuovo spettacolo tratto da “Le Troiane” di Euripide.

Quattro donne caparbie e colte, Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Maria Angeles Torres, con l’intenzione di trovare testi teatrali che raccontino un femminile diverso, firmano collettivamente sia la regia che la drammaturgia delle proprie messinscene.

Questa è la volta de Le Troiane, nota tragedia di Euripide rappresentata nel 415 a.C. all’indomani dell’efferato massacro della città di Milo da parte di Atene. Troia è già caduta e della città non rimane che un rogo immenso, i Troiani giacciono morti dopo l’immane carneficina. L’orrore e lo strazio sono focalizzati nella prospettiva delle vittime, dei corpi umiliati e spogliati delle loro identità, delle soggettività ridotte a voci sofferenti quanto inermi: nessuna possibilità di denunciare colpe e responsabilità, perché “la guerra è stata voluta dagli dei” alla cui volontà non è dato opporsi.

La tragedia porta in scena la guerra vista con l’occhio degli sconfitti, una tematica che diventa molto attuale se intesa come denuncia radicale della guerra, come dramma universale, in cui ogni epoca può rispecchiarsi.

La scena è spoglia, scandita da ciò che resta dopo la guerra. Un cumulo di vecchie valige, un tavolo divelto, sedie spaiate seminate attorno, resti di detriti e utensili, in fondo un muro coperto da vecchi drappi di tela.

Protagoniste sono le donne che, superstiti, attendono di essere deportate. Saranno spartite dai vincitori come bottino di guerra; nessuna ancora conosce il proprio destino, ma ognuna porterà con sé, nella propria valigia quello che  permetterà loro di non morire. Per Cassandra sarà la vendetta, per Andromaca l’amore per il proprio figlio, per Elena la bellezza, e per Ecuba la memoria di ciò che è stato, di quello che ora è, e di cosa sarebbe potuto essere.

Su tutte incombe il trauma della perdita e dello sradicamento, della partenza verso un altrove che significa schiavitù . L’attesa per le loro sorti le porterà attraverso la loro memoria a gettare uno sguardo verso il tempo a venire, un tempo privo di senso, distante da ogni legame con il mondo che fino ad allora avevano conosciuto.

Una tragedia sensibilmente attualizzata, una rivisitazione del testo euripideo tramite il sapiente uso della parola e l’assoluta vibrante tragica bellezza dei corpi delle donne in scena.

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