Opera panica, stanze circensi d’inettitudine alla felicità


opera panica

Un inizio un po’ tiepido ha dato agli spettatori il tempo di ambientarsi. La macchina spettacolare dell’ Opera Panica (Cabaret tragico) di Jodorowsky, con regia e conseguente interpretazione a stampo circense di Pietro Dattola, è riuscita infine ad ingranare bene, al debutto al Teatro Musco di Catania. L’atto unico, diviso in ventisei quadri dall’atmosfera circense, ha spaziato, come il titolo suggerisce, panicamente nell’universo emotivo umano: dal comico al poetico, dall’ironico al malinconico, mantenendo come filo comune, oltre un senso, forse troppo, palesato d’assurdo, l’impossibilità dell’uomo al raggiungimento della felicità. La scenografia scarna povera, essenziale, come i costumi, e gli oggetti di scena che accennavano simbolicamente tramite un minimo significante a diversi e più importanti significati, è risultata, anche se volutamente, eccessivamente non curata. Bravi i quattro attori in scena: l’assistente, a volte prevaricatrice a volte succube, Letizia Barone Ricciardelli; il mago elegante e spocchioso Andrea Onofri; il lanciatore di coltelli, bipolare e simpaticissimo, Marcello Paesano; e infine la camaleontica Flavia Germana De Lipis. E’ stata lei, in verità, a recuperare l’interesse del pubblico, rivolgendosi direttamente alla sala, con l’ingenua confusione di un clown che chiede aiuto di fronte alle contraddizioni e alle prepotenze dei soprusi degli altri che vogliono solo litigare, avere il suo posto, comandare e sentirsi migliori. Spiazzante il suo cambio della tonalità di voce, da quello bambinesco del pagliaccio, noncurante del mondo crudele che lo circonda, a quello disperato di una donna ingabbiata, intrappolata, sofferente e soffocata. Efficaci anche le metafore sulla condizione umana. Soprattutto le scenette sulla crudeltà e l’insensatezza dei rapporti amorosi come quella dove il lanciatore di coltelli uccide l’assistente che esclama: ”ah ho capito, allora tu mi ami!”; e quella che rappresenta la disperazione di una donna che cerca di cambiarsi continuamente per incarnare il modello, sempre più irraggiungibile, di un uomo destinato ad essere perennemente insoddisfatto. Quell’uomo è metonimia di tutta l’umanità, e riesce a trasmettere “l’inettitudine alla felicità” che cercava di comunicare Jodorowsky nel testo originale di Opera Panica.

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