Rita Pavone, 50 anni di carriera in un doppio album


“C’è chi si regala una Ferrari, chi un disco. Rita Pavone si è voluta gratificare così”.

Alla Feltrinelli di Catania, c’era un pubblico in fermento ad attenderla, giovani e meno giovani, qualcuno addirittura con un logoro Giornalino di Giamburrasca. Lei non si fa attendere molto, arriva avvolta da un leggings nero aderente, maglione in lana laminato in tre tonalità di grigio, tronchetto basso in velluto con fronzoli dorati alla punta, il consueto caschetto biondo e un sorriso che viene dal cuore. Dopo otto anni di assenza e un sogno chiuso in un cassetto per cinquanta anni, Rita Pavone è tornata con un doppio album, ‘Masters’, in cui interpreta cover americane ispiratrici di tutta la sua carriera: “Dall’età di undici anni, un amico di mio padre che lavorava sulle navi mi portava dall’America dei dischi straordinari di artisti come Jerry Lee Lewis, Bobby Darin, Toni Bennett. Il mio sogno sarebbe stato quello di poter proporre quella musica, ma la discografia italiana dell’epoca mi portò a fare tutt’altro genere. Dopo cinquant’anni mi sono detta ‘Questo disco o lo faccio ora o mai più’, così mi sono autoprodotta questo grande sogno”. Il titolo del disco ha un duplice significato, “Master è la grande macchina analogica, il 24 piste. L’ho voluto fare proprio nel nastro che si usava una volta, infatti i suoni sono bellissimi. E Masters sono i maestri ispiratori, quei maestri per me fondamentali che hanno influenzato tutta la mia carriera”. Il disco è trasversale, racchiude generi diversi, una parte comprende i brani nella versione originale e un’altra in quella italiana, curati da Enrico Ruggeri, Lina Wertmuller, Franco Migliacci e dalla stessa Rita. “Ho scelto di registrare anche la versione italiana perché i pezzi di una volta, a differenza di quelli di oggi infarciti da ‘Hey Baby’, ‘Get up’, affrontano bei temi. I pezzi, tra una versione e l’altra, cambiano solo musicalmente”. Enrico Cremonesi, il ‘folletto’ come affettuosamente lo chiama Rita, che ha accompagnato Fiorello in tv ed in teatro, ha arrangiato le sue canzoni. “Enrico ha saputo leggere queste canzoni portandole ai giorni nostri senza stravolgere il fascino originale di cui mi ero innamorata, e mettendo su un orchestra di giovani virtuosi. Nessuno sa utilizzare gli archi con la sua stessa grazia.. Credo che me lo invidierà anche Mina”. E la ‘Sconosciuta’ di Ariccia si sofferma anche sui talent show di oggi che sfornano artisti che con poca fatica arrivano al successo: “I talent di una volta si facevano nelle piazze con il pubblico che votava con la paletta, oggi non è più così. Io credo che un po’ di fatica, un po’ di sudore nella fase iniziale della carriera non faccia male, perché ti da più grinta, ti fa apprezzare quello che hai in quel momento, perché ti darà la forza, quando arriverà qualche insuccesso, di affrontare senza sofferenza anche le piazze dei piccoli paesi”. E parla anche del suo passato ma con qualche piccola amarezza, “Ho un grande amore per il mio passato ma scorgo delle criticità. Ai tempi del Giornalino di Giamburrasca non esisteva l’idea del concept disk, cioè del disco che non esce fuori dal contesto in cui è nato. ‘Viva la pappa col pomodoro’ sarebbe dovuta rimanere nel concetto di quel lavoro, invece è stato un gran successo, tale da decontestualizzarlo e farlo uscire in tutti i paesi del mondo. E fu un errore, a mio parere, e lo pagai sulle mie spalle. Successi come ‘Cuore’, ‘Fortissimo’, ‘Questo nostro amore’ venivano sorpassati da la ‘Viva la pappa col pomodoro’. Io sono anche quella, ma non solo quella”. E quando le chiedono  qual è la canzone che in questo disco la rappresenta di più, non esita ad intonare, con quella voce che sembra non aver subito gli effetti del passare del tempo, ‘Ho tolto il make up’: ‘che grandioso mestiere è il mio, non vorrei fare altro io e di questo ringrazio Dio'”.

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