Una scena teatrale ovattata, quasi surreale. Spii da spettatore, parola dopo parola, un vissuto quotidiano che non ti appartiene, ma ci entri dentro, discreto e curioso, osservando mossa dopo mossa una storia drammatica che si dipana sotto i tuoi occhi. È stato concepito così L’indecenza, in scena fino al 2 aprile, con repliche straordinarie il 3 e 4 aprile, nei locali della scuola d’arte drammatica Umberto Spadaro, a Palazzo Platamone, per la stagione del Teatro Stabile di Catania. Lo spettacolo, tratto dal romanzo omonimo della scrittrice e giornalista catanese Elvira Seminara, e riscritto per il teatro da Rosario Castelli, racconta la storia di un marito (interpretato da David Coco), di una moglie (Valeria Contadino) e di una colf ucraina (Elena Cotugno). All’interno della loro casa, ricca di piante, di oggetti, di tappeti e di mobili, quasi a far da contraltare all’aridità della conversazione fra i tre, si sviluppa una storia psicologica che trae origine da un lutto, mai superato, della moglie che fa della sua casa la sua gabbia. Le efficaci scenografie (realizzate da Giuseppe Avallone) diventano così elemento centrale della trama. In questo gioco è sapiente la regia di Gianpiero Borgia, validamente collaborato dalle scene di Avallone e dalle suggestive musiche di Papareccio MMC e Francesco Santalucia (sodalizio artistico ormai collaudato).
Un filo sottilissimo, tenuto teso dal non detto, continua a tenere legati marito e moglie. In questo legame freddo e asettico entra l’Altro, Ludmila, l’estraneo nell’ambiente domestico, quello più intimo. E tutto si rimette in gioco, a poco a poco, in maniera tanto naturale quanto perversa, esasperata, quasi subìta.
Tutto questo è L’indecenza, uno spettacolo che guardi al di là di una fitta rete che ti fa intravedere l’azione scenica, uno spaccato di vita intenso tanto quanto drammatico, un gioco di detto non detto che ti fa osservare il dolore umano. E tu diventi spettatore, voyeur inconsapevole, di una voragine che sembra inghiottire ogni cosa.
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