Enrico IV e la follia secondo Pirandello


Come accade alla maggior parte degli antieroi pirandelliani, il protagonista di “Enrico IV” accetta – o meglio sceglie – di indossare una maschera. In questo caso la maschera della follia: soluzione meditata dopo aver conosciuto un mondo cinico e meschino, che lo ha psicologicamente scisso e disorientato. Al ruolo del titolo è dedicato il sesto appuntamento con Vincenzo Pirrotta e il ciclo “Dialoghi con il personaggio”, promosso dal Teatro Stabile di Catania e dal Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università. L’incontro si svolgerà lunedì 4 marzo alle ore 21 (l’ingresso è libero) al Teatro Musco, che torna ad ospitare i “Dialoghi” ideati da Giuseppe Dipasquale, direttore dello Stabile, e dallo storico Enrico Iachello, docente presso il Dipartimento.

 

Il progetto – che prevede la partecipazione degli allievi della Scuola d’arte drammatica dello Stabile – punta sulla matura riflessione di Pirrotta, sul suo magistero artistico di interprete-regista-drammaturgo, sulla potenza espressiva che innerva queste sue “colluttazioni” con ruoli che da sempre l’artista desidera portare in scena e ancora in embrione dentro di lui. 

Tra questi non poteva mancare il pirandelliano Enrico IV, scritto dall’autore nel 1921 per Ruggero Ruggeri. L’azione si svolge vent’anni dopo la tragica cavalcata in costume e il trauma in seguito al quale il protagonista – che Pirandello lascia senza nome – si è “fissato” nel personaggio dell’imperatore di Sassonia, da lui scelto per potersi inginocchiare davanti alla donna amata, che si chiama Matilde, come la grancontessa di Canossa. La vecchia fiamma viene ora a visitarlo insieme a Belcredi, il rivale in amore che l’ha sposata, e alla loro figlia, fidanzata con il nipote dello stesso “Enrico”. Non sanno che l’uomo – per lungo tempo realmente pazzo – da otto anni è guarito e continua a fingersi folle per dolorosa necessità. I venti anni perduti gli sembrano azzerarsi d’un colpo quando sta per abbracciare la figlia di Matilde, così simile a lei da giovane, ma è un’illusione crudele: dopo aver ucciso Belcredi, ad Enrico non resta che arroccarsi di nuovo nella pazzia, acuendo e reprimendo il rimpianto per una vita non vissuta.

In ciò Enrico IV è metafora dell’uomo novecentesco – alienato, emarginato, contraddittorio – e della nevrosi decadente. Rientra così nel catalogo dei personaggi che si ritirano e rifugiano in dimensioni altre rispetto alla realtà sensibile, eppure coscienti della loro condizione, come il Des Esseintes di Huysmans. Antieroi che demoliscono ipocrisie e verità fittizie, ma al contempo simboli di repressione volontaria, senso della rinuncia.

 

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