Il racconto lucido di una passione verso il proibito e della disperata ricerca di un quotidiano sempre sopra le righe. Una storia “forse vera”, che comunque attinge alle cronache catanesi dei primi Anni ’80. È Patrizzia, la vera storia di una sensation seeker spettacolo scritto, diretto e interpretato da Savì Manna che ha debuttato nel 2015 e subito accolto dal consenso di pubblico e critica, domenica 15 aprile alle ore 19 a Land la Nuova Dogana di Catania; domenica 22 aprile alle ore 21 al TMO Teatro Mediterraneo Occupato di Palermo.
Siamo a Catania. La protagonista del monologo, Patrizzia (le due z non sono un errore d’ortografia), ha 50 anni e lavora allo storico mercato della Pescheria. Patrizzia oggi per campare vende il pesce, ma non ha fatto sempre questo nella vita. Alle prime luci dell’alba, seduta su una poltrona nera, nell’intimità della sua casa, racconterà al pubblico la sua storia eccezionale. Quelli come lei li chiamano sensation seeker, cercatori di sensazioni: uomini e donne dipendenti da stimoli intensi ed esperienze estreme, perché alla continua ricerca di adrenalina pura. Patrizzia, moderna sirena, ammalia chi la ascolta cantando le vicende della sua vita avventurosa nell’unica lingua che conosce, il dialetto catanese.
’U me restinu ié siggnatu. Iè nuddu mi po’ ddari abbentu, tutti sa fanu a’ lagga ri mia iè hanu centu voti raggiuni a farisilla a’ lagga ri mia. ‘A verità ié ca jù ri intra sugnu china china ri medda. Chissa ié ‘a verità.
“Patrizzia. La vera storia di una sensation seeker” è il racconto lucido di una passione verso il proibito e della disperata ricerca di un quotidiano sempre sopra le righe. Contro ogni retorica e conformismo. Dopo Lupo, Sheet e Importante, molto importante, Savì Manna prosegue la sua ricerca attoriale e linguistica fissando l’attenzione, ancora una volta, su un personaggio ai margini della società, metafora della Sicilia, una terra ai margini dell’Occidente. Patrizzia è anche testimone di un’identità di genere frammentata, smarrita, nella quale le costruzioni simboliche di appartenenza sessuale si destrutturano e si ricompongono in un conflitto interno incessante.
In questa indagine sulle sfumature più nascoste e contraddittorie dell’umano, il ricorso al dialetto non è mai mezzo di rappresentazione realistica e conservatrice, bensì possibilità di espressione immediata e immaginifica, capace di trasformare la realtà in astrazione leggendaria.
«“Patrizzia, la vera storia di una sensation seeker” è senza ombra di dubbio il lavoro che più mi ha messo in crisi – scrive Savì Manna nelle note di regia -. Eppure il suo concepimento è stato,
oserei dire, involontario. La prima bozza la scrissi di getto una notte a Milano, dopo una eccesiva bevuta di sake, l’alcolico giapponese. Occasione più unica che rara considerando il fatto che di norma sono astemio. Il mattino successivo mi svegliai intontito e ancora vestito sul letto con un foglio sul viso, foglio che non ricordavo neanche di aver scritto. Rileggendo e decifrando le mie stesse parole, mi accorsi che la storia che avevo immaginato era davvero incredibile.
La lasciai fermentare per un po’ prima di ritornarci. Viaggiammo insieme in lungo e in largo per l’Italia. Ma dopo un concepimento così naturale, non riuscivo a superare delle difficoltà interpretative, la storia mi convinceva ma qualcosa mi sfuggiva, lo stesso personaggio. Non mi sentivo credibile. Ho provato a confrontarmi con il regista e amico Claudio Collovà, ma tutto andava in direzione contraria al punto in cui mi trovavo. Ero turbato.
Poi una sera, seduti a un tavolo della Vucciria, nel cuore del centro storico di Palermo, mentre cercavo di dare forma alle mie perplessità, si è materializzata Patrizzia – continua Manna -. Per la prima volta nella mia vita ho incontrato il personaggio di uno spettacolo già scritto, e non nego che ho avuto paura: sono stato insultato, quasi aggredito fisicamente, e costretto per un lasso di tempo indefinibile a restare in sua compagnia. Infine con diplomazia, o semplicemente per spirito di conservazione, sono riuscito ad uscirne indenne. Era il segnale che aspettavo. La chiave di volta che stavo cercando era la stessa realtà a fornirmela. Patrizzia è il difetto, l’indicibile, il lato oscuro della mia città, ciò che nessuno vuole vedere o sentire, ma di cui tutti siamo complici. È quella furia sciocca, volgare e indomabile, che si respira e si perpetua tra le strade di Catania».
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