Una riflessione sull’impossibilità della giustizia, sull’inadeguatezza del diritto a correlarsi al “panta rei” della vita. È quello che propone Roberto Andò con «un’installazione teatrale concepita mettendo in scena due spettacoli diversi ma consequenziali, in cui, oltre alla triade che officia il processo, ossia l’avvocato, il giudice, il pubblico ministero, troviamo le vittime e i loro carnefici, ma anche figure quali Cristo, Pilato, Socrate, Voltaire. Vi si alternano la voce di un assassino e quella di un giurista, entrambe impegnate a frugare nelle pieghe insensate e labirintiche dell’esistenza come forma giuridica». Così il regista e scrittore palermitano protagonista del panorama culturale non solo italiano, riassume il nucleo della sua ultima fatica teatrale, un dittico o meglio due spettacoli in sequenza. Si comincia con È una commedia? È una tragedia? di Thomas Bernhard, nella traduzione di Vittoria Rovelli Ruberl, conFausto Russo Alesi affiancato da Filippo Luna; completa il cast la vocalist Simona Severini. A seguire, Roberto Andò, qui anche autore del testo, allestisce In attesa di giudizio, tratto da Il mistero del processo di Salvatore Satta (edito da Adelphi), una scrittura originale che pone in relazione vittime e carnefici nel rapporto, mai risolto né risolvibile, con la propria ed intima necessità di Giustizia. L’interpretazione, ancora affidata a due nomi di spicco come Fausto Russo Alesi e Filippo Luna, è arricchita dalle voci di Renato Scarpa e Paolo Briguglia e da un nutrito “coro” di attori di diverse generazioni. L’installazione scenica e le luci sono di Gianni Carluccio, che firma anche i costumi insieme ad Antonella D’Orsi, il suono è curato da Hubert Westkemper, le musiche sono di Marco Betta, la regia di Roberto Andò è ripresa da Luca Bargagna.
La produzione, realizzata dal Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia e Nuovo Teatro diretto da Marco Balsamo, sarà in programmazione al Teatro Verga dal 9 al 14 gennaio.
Il titolo In attesa di giudizio sintetizza magnificamente il significato dell’intera operazione che parte con la straordinaria scrittura di Bernhard, imperniata nel racconto (restituito integralmente in scena sia nelle parti narrate che nei dialoghi tra i due personaggi) di un crimine efferato, visto non nell’atto cruento in cui esso avviene, quanto piuttosto negli esiti conseguenti che esso produce nel colpevole. Quest’ultimo curioso individuo si presenta vestito da donna, con atteggiamenti strani e ripetitivi. Nell’incontro casuale con l’altro, un saggista, rivela i dolorosi particolari di una vicenda singolare e complessa. Anni prima ha ucciso la sua donna, spogliandola delle vesti e gettando il corpo in un lago, ed è stato per questo arrestato, condannato e rinchiuso in galera. Ora, per la giustizia degli uomini è redento, ma questo non è sufficiente per la sua coscienza, che si rivela essere preda e succube di un’espiazione irrisolta e irrisolvibile. Un uomo in attesa di giudizio, come pure saranno i protagonisti dell’altra pièce, diretta ma anche scritta da Roberto Andò, che dal singolare episodio di Bernhard passa ad un’universale galleria, di vittime e di carnefici.
«Il nucleo fondante – sottolinea Andò – è Il mistero del processo di Salvatore Satta, in cui l’autore, essendo grande esperto di diritto, medita sul mistero del processo. Un concetto che corrisponde al mistero della vita vincolata all’idea che qualcuno un giorno darà un giudizio di noi».
Il testo nasce dai fantasmi che si muovono nella mente di un giurista (interpretato da Fausto Russo Alesi), il quale con la mente convoca una moltitudine di persone, sia vittime che carnefici, che saranno tutti in scena: «Il pubblico – spiega Roberto Andò – potrà vederli nel momento fatale in cui si incontrano facendo succedere tante cose, in quello che si rappresenta come teatro della mente. Del resto, il processo è una forma di teatro, o di gioco, in cui tutti i convenuti sfuggono al giudizio. E qui siamo di fronte ad una requisitoria senza appello sul senso del processo. Una fuga sul giudizio, sull’angosciosa, e inane, pretesa del diritto di inseguire e bloccare nella norma il tumultuoso rinnovarsi della vita e dell’esperienza. In attesa di giudizio non è una riflessione cinica, ma tragica e amara: è dolorosa, ma lascia spazio alla pietà».
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