Una riflessione su Giuseppe Fava alla vigilia dell’anniversario della sua barbara uccisione. E’ la proposta del giornalista Nino Milazzo, presidente del Teatro Stabile di Catania, che fu legato al collega e amico da un profondo rapporto di stima e collaborazione. L’appuntamento è per domenica 4 gennaio alle ore 17 nei locali della Scuola d’Arte drammatica dello Stabile, intitolata ad Umberto Spadaro e sita nel Palazzo della Cultura (ex Platamone, in via Vittorio Emanuele). Insieme
a Nino Milazzo, interverranno Elena Fava, presidente della Fondazione intitolata al padre, e il critico teatrale e letterario Sergio Sciacca. L’evento sarà curato dal regista Federico Magnano San Lio.
L’approfondimento su Fava – giornalista, scrittore, drammaturgo – prenderà le mosse dal lavoro teatrale “Il proboviro. Opera buffa sugli italiani”, pubblicato nel 1972 e messo in scena dallo Stabile etneo nello stesso anno. Regia, scene e costumi erano di Virginio Puecher, cast stellare con – tra gli altri – Turi Ferro, Umberto Spadaro, Michele Abruzzo, Ida Carrara, Fioretta Mari, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Maria Tolu.
Le pagine più significative del testo rivivranno adesso nella lettura affidata agli attori Aldo Toscano, Liliana Lo Furno, Francesco Russo, Camillo Mascolino, Giampaolo Romania, Federico Fiorenza.
Dalla morte di Fava sono passati 31 anni. La sera del 5 gennaio del 1984, davanti al teatro “Verga” di Catania, cadde in un agguato mafioso; un vile assassinio avrebbe consegnato per sempre ai posteri l’immagine di un uomo e intellettuale coraggioso. Pronto a combattere e morire per gli ideali di libertà e giustizia in cui credeva. Pronto a denunciare la situazione socio-politica italiana degli anni Settanta. Non solo attraverso i suoi articoli e i suoi “Siciliani”, ma anche attraverso il romanzo e la forma del “teatro-documento”.
Fava preconizza il pericolo di un disfacimento morale della nazione e il suo teatro diviene il luogo della rappresentazione che svela la corruzione del potere, in una società sempre più soggiogata dalla cultura e dalla violenza mafiosa.
In questa visione, “Il proboviro” si sviluppa come una pièce satirica surreale, che oscilla tra i toni aspri e quelli poetici, per restituire un’impietosa e nitida radiografia della politica. Un ex impiegato è ridotto in miseria a causa dei soprusi del potere, mentre un malvagio imprenditore corrompe con il denaro giudici e politici. E chi è caduto nella rete lasciandosi corrompere, non sa più se lo ha fatto per avidità, debolezza, o peggio per paura.
Fava descrive così un affresco cha appare sempre più attuale, in un società messa ancora di fronte all’emergenza di una gravissima “questione morale” da risolvere guardando ai valori della democrazia, come affermava proprio trent’anni fa Enrico Berlinguer.
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