Agostino Zumbo: “Con Les fils de l’homme ho fatto pace con la cinepresa”


In un bar del centro, gustando una cioccolata calda per proteggersi dal pungente freddo di febbraio, incontriamo l’attore Agostino Zumbo in occasione del successo di “Les fils de l’homme”, cortometraggio prodotto da FMA e associazione culturale Jabal. Scopriamo passo dopo passo anche il lato timido e riservato di uno degli interpreti più pregiati del panorama della nostra cultura.

La sua ultima fatica il cortometraggio “Les fil de l’homme” è stato presentato ai festival di Noto, Trapani, Marzamemi ed Eolie. Com’è nata l’idea di questo progetto cinematografico dai particolari risvolti filosofici e dal finale ermetico?

“Les fils de l’homme nasce dopo i precedenti Latte di mamma e Il miglior studio della città. È un progetto che si è sviluppato, in maniera naturale, durante una sera a cena a casa mia con Francesco Maria  Attardi, Giovanni Arezzo, Giuseppe Brancato, Francesca Ferro e Melina Zumbo. Abbiamo discusso e migliorato la storia un po’ alla volta con l’incoscienza e la goliardia delle idee nate dalle amicizie più vere ed intense. Tutto si muove dal quadro di Magritte. Il messaggio promosso dall’intero plot narrativo spiega, in modo forse non troppo immediato, che nonostante si cambi volto o immagine se dentro la propria anima c’è del marcio si vivrà per sempre nel marciume”.

L’eterno gioco tra bene e male viene descritto con forza, senza però fossilizzarsi nella banalità dei luoghi comuni come mafia e innamoramento, incarnando dei concetti filosofici che lasciano lo spettatore col fiato sospeso fino alla fine.

“È vero. Ci sono i due figli del protagonista Saro, Giuseppe Brancato, e Bastianazzo, Giovanni Arezzo, totalmente diversi tra loro, i quali identificano la contrapposizione tra il bene e il male mentre la fruttivendola Noemi, Francesca Ferro, segna la linea di confine tra i due fratelli. Il vero cattivo, non solo nel modo di parlare, anche nel gesticolare è Calogero, il mio personaggio, che esprime in ogni frase violenza e ferocia. Il corto non è stato capito da molti, perché il messaggio è molto complesso. Consapevoli della difficoltà abbiamo preferito non spiegare tutto, perché se avessimo reso alcuni passi più espliciti, secondo noi, avrebbe perso molto in qualità. Ho apprezzato sin dall’inizio il soggetto ideato, scritto e pensato di Francesco Maria Attardi un giovane talentuoso che, secondo me, farà parlare molto di sé, grazie a lui mi sono riavvicinato al cinema. Ci siamo autofinanziati, non abbiamo ricevuto aiuti economici da nessuno e con fatica ed orgoglio, tra tante difficoltà, abbiamo realizzato un buon prodotto”.

Calogero il suo personaggio recita: “Le donne per conoscerle bisogna spaccarle in mezzo”. Una frase forte che rimanda immediatamente al femminicidio e alla violenza di genere. Con cattiveria inaudita ha reso, con la sua interpretazione, queste parole ancora più atroci. Come si è preparato ad affrontare questo personaggio?

“L’intera storia del personaggio è intrisa di malvagità. Non è stato facile ripetere questa frase provata, fortunatamente, solo per due ciak. Io sono un attore “lento” mi accosto al personaggio da interpretare in maniera delicata non invasiva, perché devo filtrarlo attraverso le mie caratteristiche facendo un particolare travaglio interiore. Calogero è un personaggio non solo cattivo ma anche strano che si interessa all’arte senza capirne il vero significato. Mi auguro di averlo realizzato bene”.

La critica per questo ruolo le ha attribuito il Premio come miglior attore nella manifestazione “Non è mai troppo corto”. Durante la serata di premiazione ha ritirato il riconoscimento in ritardo. Si è creata una gag involontaria. Può raccontarcela?

(ride)

“Non credevo di poter vincere il premio, perché abbiamo gareggiato con progetti internazionali. Quando hanno chiamato il mio nome credevo fosse uno scherzo dei miei amici presenti. Volevo andare via prima della fine della cerimonia perché quella sera il mio nipotino, che ha voluto accompagnarmi alla manifestazione, si era stancato troppo. Abbiamo deciso alla fine con Francesco Maria Attardi di rimanere e mentre decidevamo cosa fare mi hanno proclamato vincitore. Sono salito sul palco incredulo di cosa stesse accadendo”.

Lei ha lavorato sia al cinema che in tv in lavori importanti. Ricordiamo il successo cinematografico de “Il ladro di bambini” per la regia di Gianni Amelio. Cosa ricorda di quel momento?

“La mia è stata una piccola partecipazione, che ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo della storia. Ricordo con gioia tale momento, anche per il grande successo mediatico ottenuto da questo film”.

Importanti successi ottenuti anche con il Teatro Stabile e Il Piccolo Teatro di Catania. È stato diretto da importanti registi come Armando Pugliese, Guglielmo Ferro, Hervè Ducroux, Will Humburg, Dietrich Hilsdorf ed ha avuto come compagni di lavoro, fra i tanti, attori come Turi Ferro e Mariella Lo Giudice. Cosa prova se pensa a quei momenti?

“La mia vita è stata caratterizzata da incontri fortunati. Sono stato scelto da maestri come Edo Gari, Rita Cinquegrana ed Ezio Donato i quali mi hanno forgiato e formato. Fondamentale l’influenza positiva degli attori, maestri ed amici come Turi Ferro e Mariella Lo Giudice sino ad arrivare a Luca De Filippo con il quale ho respirato l’atmosfera di Eduardo. Ho avuto la possibilità di assorbire come una spugna dai grandi. Sono momenti di vita i cui insegnamenti che ho ricevuto mi hanno dato tanto anche sul lato umano”.

Passa con facilità dal comico al drammatico ma, secondo lei, Agostino Zumbo che tipo di attore è?

“Io mi definisco un attore grottesco. Ho sempre cercato di dare il massimo in ogni ruolo e spero di essere riuscito a trasmettere emozioni al pubblico”.

Lei è anche un elegante dicitore; infatti con la sua interpretazione riesce a vestire con classe e stile ogni tipo di testo coinvolgendo con attenzione gli spettatori. Come si fa a far partecipare un pubblico distratto o disattento leggendo anche qualcosa che magari non rispecchia la propria anima?

“È fondamentale capire il pensiero, le sfumature dell’autore attraverso il testo che si deve leggere. La lettura di un brano si basa sull’incontro tra la sensibilità di chi scrive e chi legge. Ognuno quando scrive esprime sempre qualcosa che bisogna saper comunicare al pubblico con tenacia ed attenzione anche attraverso lo sguardo. Non è facile, perché tutto deve essere sinergicamente coordinato in un tempo estremamente breve”.

Quando si chiude il sipario ed esce di scena cosa pensa di solito della sua interpretazione?

(ride)

“Ogni volta dico sempre: “Madonna sono stato una schifezza”! Non so se sono un modesto  ma sono molto autocritico e non riesco mai ad essere troppo buono con me stesso. L’applauso mi fa stare bene, inutile negarlo, ma sto  sempre con i piedi per terra”.

Un consiglio a tutti coloro che vogliono intraprendere la strada del Teatro?

“Io non vivo di solo teatro. Oggi non si può vivere, purtroppo, solo con questo mestiere. La produzioni hanno grossa difficoltà e non si lavora più. La cultura è stata depredata in maniera assurda e la gente che scommette sulla cultura e cerca di vivere  facendo dell’arte la propria ragione di vita è costretta alla fame. Un attore affermato, oggi, non prende più di settanta euro al giorno ed è chiaro che non si può vivere con queste cifre. Il nostro è un lavoro, da sempre, considerato come un divertimento. Non si capisce che quando chiudono un cinema o un teatro si decreta la morte economica di molte famiglie. Mi piace ricordare che in Sicilia in questo momento Antonio Presti è, forse, il solo che con “il rito della luce” sta lottando per la cultura. Ho dato con gioia il mio contributo alla realizzazione di quest’importante iniziativa unica nel suo genere. Sono stato felice nel vedere oltre quarantamila giovani partecipare con passione ed interesse per far risorgere da quest’ingiustificato torpore la cultura, l’arte e la poesia. Non so quale sarà il futuro per i giovani. È chiaro che i più meritevoli andranno avanti, ma è fondamentale capire che è una strada tutta in salita”.

Prossimi impegni lavorativi?

“A marzo vestirò i panni di Don Raffaele in “Non ti pago” in scena al Brancati con Tuccio Musumeci diretto da Armando Pugliese”.

 

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