Se dovessi descrivere Tony Canto in poche parole, direi che “è uno che si diverte” senza l’assillo dell’obbligo lavorativo.
Tony approccia il soundcheck esattamente come il concerto. Non lesina battute né ironia e tra una nota e l’altra, supportato dai suoi musicisti, mette su delle piccole gag che inframmezzano il concerto.
Affiancato da Pino Delfino (basso acustico), Luca Scorzello (percussioni) e Andrea Inglese (chitarre), Tony Canto si è esibito alla Cartiera di Catania, in una performance intima, coadiuvata in modo perfetto dall’ atmosfera del locale.
L’ironia che lo contraddistingue, come dimostra anche dall’aspetto e dal titolo del suo ultimo lavoro “Italiano Federale”, ovviamente, non l’ha lesinata neanche durante l’intervista, dove rivela di voler lavorare con un’ altra siciliana doc.
Chi sarà?
“Per saperlo…bisogna giungere alla fine di questa chiacchierata”.
La prima domanda è d’ obbligo, perché Italiano Federale?
“È nato tutto molto spontaneamente senza pensarci più di tanto. Visto che viviamo in un teatrino politico dove ognuno recita la propria parte, ho inventato questa sorta di emigrante di una volta che ho riportato anche attraverso il look anche nel bootleg del disco. Il mio italiano federale, però, emigra nella sua stessa terra, visto che la Lega da 20 anni ci racconta di questa fantomatica Padania.
Insomma, il federalismo è una cosa abbastanza ridicola. E ironizzarci su, abbandonando ogni polemica, mi sembra la chiave di lettura giusta”.
Però non si può negare esista il “federalismo linguistico” nella canzone italiana.
“Assolutamente si. L’Italia è una fonte inesauribile di scuole musicali da quella genovese di De Andrè, Paoli, Lauzi, a quella romana, napoletana e siciliana, pertanto il dialetto è un patrimonio che va assolutamente preservato, perché è un valore in più che cammina di pari passo con la melodia che nessun altro popolo possiede”.
Il suo lavoro valica i confini e schiaccia l’ occhio al Brasile in molte sonorità, una scelta o una necessità d’espressione?
“Nessuna delle due in realtà, direi una situazione naturale. Io amo molto i ritmi brasiliani, appena ho una chitarra in mano in automatico scatta una melodia brasiliana, quindi l’associazione del dialetto siciliano e dei ritmi brasiliani per me è assolutamente naturale. Non è un matrimonio forzato, anzi. Nel mio album precedente ho inciso un brano che si chiama Vera, che lega la musica bahiana al dialetto messinese. In questo album invece c’è Il superstite, che ha arie vagamente messicane ed è cantato in siciliano, ma non sono operazioni pensate, è tutto molto naturale”.
Come nasce la sua collaborazione con un virtuoso dei tamburi come Alfio Antico?
“Per caso. Ero a Scordia e stavo registrando una tarantella che si intitola Non mi ni vaiu, entro in un bar e incontro Alfio”.
…che casualmente aveva un tamburo….
“Ecco infatti, lui ha sempre un tamburo in macchina, gli ho spiegato che gli volevo fare ascoltare questa tarantella e in pochi minuti ha deciso di suonare nel brano”.
Ti amo Italia è una considerazione ironica, ma anche molto amara della posizione delle due isole maggiori rispetto all’Italia.
“Da piccolo mi hanno sempre detto che l’Italia assomiglia a uno stivale tacco e la punta.
Da siciliano, però, mi sono sempre chiesto, ma noi dove siamo? Che cosa siamo?
La pozzanghera che lo stivale calpesta? In realtà penso che nelle alte sfere si ricordino di Sicilia e Sardegna solo nel periodo elettorale e infatti a Berlusconi abbiamo regalato 61 seggi, peccato che poi se n’è dimenticato”.
Visto che per forza di cose si parla di politica, pensa che l’ Italia per risollevarsi abbia bisogno di un condottiero, un altro Garibaldi?
“Io ho veramente paura di queste figure in cui ci si deve identificare. Purtroppo la televisione veicola questo, ecco perché il berlusconismo ha attecchito, ci stiamo massificando sempre di più. Necessitiamo, invece, di una vera e propria rivoluzione culturale e dobbiamo puntare sull’arte che è la risorsa primaria dell’Italia da sempre”.
Ha scritto le musiche di Lavori in corso testo teatrale di Claudio Fava, come è nata questa collaborazione?
“Mi ha cercato il regista Ninni Bruschetta e ho accettato con gioia, perché l’approccio compositivo è totalmente differente. Per fortuna lo spettacolo sta riscontrando un grosso successo e questo mi rende molto felice”.
Le collaborazioni nella sua carriera non sono mancate, qual è quella che ricorda con maggior piacere e quella che vorrebbe ancora avere?
“La collaborazione a cui tengo di più è quella con Joe Barbieri che stimo e con il quale ho avuto il piacere di lavorare sia nel penultimo album, sia in quello che uscirà a breve. Joe è un cantautore bravissimo che mi fa veramente emozionare”.
Quella alla quale ambisce?
“In realtà sono due: Paolo Conte e Carmen Consoli. Conte perché è il top. Con Carmen, con la quale ho anche suonato in passato vista la mia collaborazione con Mario Venuti, mi piacerebbe lavorare a un disco o a una tournée perché gode di un carisma pazzesco che hanno in pochi”.
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