L’amore per New York inizia tra i banchi del liceo, quando Corinna Bajocco, romana classe 1973, visita per la prima volta la Grande Mela. Da allora, New York è diventata per Corinna la sua città d’elezione. Alla Grande Mela e ai viaggiatori è dedicato il libro New York- Viaggio nella Grande Mela” (2012-edizioni Polaris). Un viaggio sentimentale vissuto con l’amore smisurato per New York, la passione per i viaggi, l’occhio attento e osservatore di un’ antropologa e la curiosità per tutto ciò che va oltre la superficie delle cose. Corinna Bajocco, una laurea in antropologia culturale e un dottorato in writing alla Columbia University di New York, racconta così una NY intima e personale nel suo libro “New York- Viaggio nella Grande Mela” (2012-edizioni Polaris). Una fotografia della città che va oltre gli itinerari classici proposti dalle solite guide. Un punto di vista soggettivo ma anche corale, grazie ai racconti che l’autrice ha raccolto da giornalisti, artisti ma soprattutto dalla gente che ogni giorno vive la città. Corinna, accompagna il viaggiatore nei luoghi insoliti, lontani dalle luci al neon di Times Square e dalla scintillante e fin troppo glamour NY a cui spesso il nostro immaginario è abituato. Ed è lì, tra le strade del Lower East Side o tra i capannoni di Red Hook, che il viaggio inizia. Un ritratto umano e urbano reso ancora più vivo grazie alle foto di Jay Fine, Stephen Shadrach e le “mappe visive” della giornalista e blogger Marina Misiti. Se da un lato la gentrificazione ha reso NY più sicura, dall’altro, secondo molti newyorchesi, ha reso la città troppo borghese e senza stimoli culturali. Pensa che la Grande Mela sia oggi solo una vetrina bella da guardare o è ancora un laboratorio culturale e modello di riferimento? “New York è stato ed è il tempio della sperimentazione, in tutti i campi. Per quella strana combinazione fra sogno americano e melting pot etnico che è la sua caratteristica più tipica, ancora oggi se qualcosa di nuovo deve accadere, intanto accade a New York. Ci sono grandi capitali certo che siedono con dignità a fianco della Regina, e penso a Londra o Tokyo. Ma il primato mi sembra ancora una prerogativa della Mela. Quello che certamente va detto è che l’aggressività degli immobiliaristi di Soho ha livellato alcune enclave della controcultura, luoghi che prima avevano una forza propulsiva ad oggi dissolta. Si sono perse le sfumature, e a tratti l’intero contenuto. Ma scavando la patinatura della superficie, con un po’ di pazienza, si possono ancora ammirare delle bellissime crepe”. La NY dove si sente a casa e che sente più sua? “Quando sono a New York, da un po’ di tempo, scelgo di soggiornare nell’Upper West Side. Questo quartiere ha il pregio di essere centrale ma rilassato, caratteristiche entrambe necessarie quando si deve trovare uno spazio e un tempo per scrivere.
La mia casa è però dall’altra parte del ponte, a Carrols Garden. E giù fino alle case del porto di Red Hook. Le mie storie migliori, gli incontri più interessanti, il caffè come piace a me la mattina e qualche parola in italiano fanno di quel quartiere dalle case basse il posto in cui io mi sento più a mio agio. Inoltre lì ho un grande amico, un bizzarro vecchietto italo americano di grande cultura e altrettanto grandi capacità narrative, il cui nome è Alfredo James “Al” Pacino. Ma no, non è il divo. Lo è solo per me”.
Se dovesse scegliere un libro, una musica e un film che meglio
rappresentano NY, quale sceglierebbe?
“La mia New York è “Finestre di Manhattan” di Antonio Muñoz Molina, “An open letter to NYC” dei Beastie Boys e “La 25a Ora” di Spike Lee per l’indimenticabile monologo allo specchio di Edward Norton”.
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