Uno studio austero, quasi claustrale, con le volte a botte che sembrano abbracciare la luce fioca che piove dalle finestre di via Piazza Duca di Genova, ma esaltato dalle locandine che ne tappezzano i muri e che rammentano, a chi le osserva, il peso di una delle istituzioni culturali più longeve e importanti della città dell’elefante: il Teatro Stabile.
Lui, Giuseppe Dipasquale, l’attuale direttore, ci accoglie dietro una ampio scrivania, ingombra di libri e carte, opuscoli. Ha un viso pieno, incorniciato da una nera montatura d’osso, gesti lenti e fluidi, sontuosi quasi, che l’eterno cigarillo tra le dita raffina in ghirigori netti nell’aria. Affidiamo ad alcune domande la sintesi impossibile di una vita e di una carriera prestigiosa.
Quando ha deciso che il teatro sarebbe stata la sua strada?
“In realtà tutto è avvenuto per caso. Proprio qui a Catania, allo stabile, nel 1981. Ero pronto a seguire il mio desiderio di iscrivermi in una Facoltà umanistica fuori dalla Sicilia. Ma prima di partire lessi sulla stampa che si erano aperte le audizioni per la scuola del Teatro Stabile. Non avevo mai fatto teatro, se non a scuola divertendomi a scrivere piccole commediole per i miei compagni di classe. Volevo fare, pensavo, lo scrittore. La cosa mi incuriosì e feci domanda per le selezioni. Fui preso e frequentai per due anni la scuola che ora, insieme a questo glorioso teatro, ho l’onore di dirigere. In tutto quel tempo, ma il merito fu di un grande maestro che molti di noi hanno avuto, e parlo di Giuseppe Di Martino, ebbi modo di comprendere che mai null’altro mi sarebbe piaciuto e interessato fare se non teatro. E così finora è stato”.
Quali sono state le personalità che hanno influito su questa scelta?
“Appunto Di Martino è stato per me, come per molti attori di questo teatro, più di un maestro. E’ stato una guida e un maestro di vita. Ci ha formati facendoci comprendere che il teatro è una palestra alla vita, ma allo stesso tempo è una missione cui bisogna dedicarsi totalmente, anche in maniera sacrale. Poi ho incontrato altre grandi figure che mi hanno aiutato, direi che mi hanno permesso di “rubare” loro il senso di una passione di un percorso entusiasmante quale è sempre stato il teatro. Sopra a tutti metto ovviamente Andrea Camilleri, che ho conosciuto come insegnante di regia all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, che mi onora della sua amicizia e che mi ha regalato un amore per questo mestiere e la possibilità di intendere il teatro come un racconto vivo che si fa verso persone che sono contemporanee e viventi. In fondo è la peculiarità della regia: sapere raccontare una storia scritta da altri”.
E’ meglio fare il regista a tempo pieno o dirigere un grande teatro?
“E’ senza dubbio molto più facile e divertente fare il regista, ma solo perché le responsabilità sono ridotte all’essenziale e comunque se sbagli uno spettacolo lo fai quasi esclusivamente sulla tua pelle. Dirigere un teatro, grande e pieno di storia come lo stabile di Catania, ti pone di fronte ad una necessità di operare con una visione ed una cura molto più grandi, che toccano molte persone”.
In un clima palese di crisi delle istituzioni culturali, lo Stabile di Catania è riuscito a mantenere un ruolo importante. A cosa lo deve?
“Proprio alla forza della sua storia. Lo Stabile di Catania è nato sulle spalle di giganti come Mario Giusti, Turi Ferro, Pippo Meli e altri. I tentativi di destabilizzarlo e condurlo fuori strada sono stati diversi e inopinati, sia dall’interno che dall’esterno. La crisi economica e culturale del Paese avrebbe potuto fagocitarlo, ma con l’aiuto di tutti, in testa senza dubbio il mio Presidente Pietrangelo Buttafuoco, siamo riusciti a mantenere la rotta e a fare si che questo teatro rimanesse fra i primi teatri stabili ad interesse pubblico in Italia”.
Un errore di cui continua a pentirsi…
“Non avere fatto, quando potevo, il viaggio dei miei sogni…la Cina!”
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