“Il silenzio dei giorni” è il romanzo d’esordio della giornalista siciliana Rosa Maria Di Natale, liberamente ispirato a un episodio di cronaca nera avvenuto nel 1980 in provincia di Catania (il “delitto di Giarre”) che portò alla fondazione del primo nucleo di militanti gay e l’anno successivo, a Palermo, alla prima Festa nazionale dell’orgoglio omosessuale. La prima presentazione del libro edito da Ianieri edizioni, organizzata in collaborazione con Vicolo Stretto, nell’ambito del Maggio dei libri del Comune di Catania, è in programma venerdì 21 maggio alle ore 17 al Palazzo della Cultura di Catania. La giornalista siciliana avrà al suo fianco lo scrittore Massimo Maugeri e la collega Flaminia Belfiore che leggerà alcuni passi del romanzo. La storia è ambientata a Giramonte, un luogo immaginario in provincia etnea.
Rosa Maria Di Natale prende spunto dal fatto delittuoso per raccontare anche il rapporto tra due fratelli Saverio e Peppino Giunta. E attorno a loro descrive una società omofoba, intrisa di convenzioni, sovrastrutture, preconcetti.
L’intervista a Rosa Maria Di Natale
Perché ha scelto questo tema?
“Quando si scrive una storia solitamente non ci si fa questa domanda. La si scrive perché è presente; la storia ci osserva, bussa alla porta e vuole avere una vita propria. Poi, una volta terminato il romanzo, ho capito che la diversità, intesa nel senso più ampio, come divergenza nel sentire la vita e nel condurla, può essere una chiave di lettura importante della realtà. Mi ha sempre molto incuriosita la visione “altra”. E il caso di Giarre, oltre a ricordarci di un omicidio mai veramente chiarito, ci parla ancora. Ci racconta di una realtà intrisa di patriarcato e di omofobia. Ma sono risposte che mi sono arrivate dopo, molto dopo avere finito il romanzo”.
Un libro intriso di Sicilia e di sicilianità. Il suo è uno sguardo critico alle convenzioni sociali e ai tabù di una società in fondo non poi così lontana da quella di oggi. È un’interpretazione errata?
“No. Mi sembra una chiave di lettura piuttosto corretta, che mi rispecchia. Giramonte è un paesino immaginario ma è anche la summa della provincia siciliana di mezzo secolo fa. Per moltissimi versi non esiste più, ma l’omofobia esiste ancora, è dovunque. Così come certi modi di intendere i rapporti familiari: comodi, senza scossoni. Più facili riempirli di silenzio che affrontare la verità. I risultati possono essere quelli che si leggono nel mio romanzo”.
Peppino Giunta è il personaggio principale. Un uomo riflessivo, per certi versi distaccato, che torna a ritroso nel tempo per rivivere esperienze di vita familiari. Un correttore di bozze andato via molti anni prima. Come ha costruito e sviluppato questo personaggio e perché?
“Mi serviva un testimone dei fatti disposto dopo molti anni a ritornare indietro nel tempo. Disposto a soffrire ancora pur di scoprire la verità. Poi si scopre che arriva a scoprirne più di una, ma questi sono i rischi di chi indaga. Ma Peppino è anche un sopravvissuto ad un dolore enorme. Anche per questo il suo punto di vista è prezioso”.
Si dice che ogni scrittore metta in un libro qualcosa di sé. Cosa c’è di Rosa Maria Di Natale in questo romanzo?
“Credo che ogni scrittore metta tutto di sé dentro un romanzo, che ovviamente è cosa diversa dal raccontare la propria vita. In questo caso ci sono i miei amati anni ‘70, i riti della provincia, la capacità di guardare indietro nel tempo senza avere paura”.
Che rapporto ha con la scrittura e con la lettura?
“Sono sempre state con me, in particolare la lettura. Ma più ancora ho vissuto in simbiosi con le storie. Cercarle, scovarle, inventarle. Per me è sempre stato così”.
Chi sono i suoi punti di riferimento in letteratura?
“Sono cresciuta a pane, scrittori siciliani e russi, Poe e Kafka. Poi da giovane adulta ho scoperto gli americani e non li ho più mollati. Sono ancora aperta alla possibilità di imparare da nuovi maestri ma devo ammettere che ho ancora Sciascia e Pirandello nel cuore”.
Ogni storia e ogni romanzo una volta pubblicati appartengono, per certi versi, a chi li legge. Ogni scrittore però ha bene chiaro in mente qual è il messaggio che vuole indirizzare. Cosa vorrebbe che lasciasse questo libro al lettore?
“Che credesse ai personaggi. Se sono venuti fuori, allora da qualche parte esistono. Basta questo per amarli tutti, anche quelli cattivi”.
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