La rosa e le spine secondo Gaspare Valenti


gaspare valenti

Gaspare Valenti, − non scrittore, ma “medico odontoiatra prestato alla narrativa”, come ama dire di sé con garbata modestia – dopo il successo di Santamaravicchioti si nasci del 2018 ci presenta l’impegnativo Nun sunu tutti rosi e ciuri.

Questo antico proverbio siciliano dà il titolo al libro, cosicchè Pinuccia Trovato, la compagna di vita dell’autore, afferma che «…questo nuovo lavoro (di Gaspare, n.d.r.) mi ha impregnato, e penso succederà anche a tutti quelli che leggeranno il libro, di quella saggezza popolare che trasuda da ogni proverbio, da tutti quelli che sin da piccoli abbiamo ascoltato ed imparato ad apprezzare». Già! Perché uno dei fattori più attraenti nei libri di Valenti è appunto il ricorso a quel formulario “filosofico” che ha accompagnato nei secoli il popolo siciliano, in ogni sua manifestazione, gioiosa o triste.

In 137 pagine di scorrevole e gradevole lettura Gaspare Valenti ci propone una intrigante raccolta di otto “ricordi” apparentemente estranei tra di essi per i singoli contenuti, eppure tutti armonicamente convergenti verso un unico tema: l’inestricabile, ambigua dialettica tra gioia e dolore nella esistenza di ciascuno noi.

L’intervista a Gaspare Valenti

Dottor Valenti, perché ha scelto questo proverbio come titolo al suo libro?

La copertina del libro di Gaspare Valenti

Sono stato sempre incantato dal fascino proverbiale, perché la saggezza popolare riesce ad esplicare con pochissime parole verità incontestabili e concetti altissimi.

“Nun sunu tutti rosi e ciuri” è sicuramente uno tra quelli che più stimolano la riflessione sugli eventi dell’esistenza: in definitiva, la sapienza popolare, penetrando nelle vulnerabilità umane, ci esorta ad accettare la nostra realtà così com’è: in giustapposizione di luci e ombre.

E poi, la rosa è allegoria della bellezza, dell’amore, della felicità. Ma allo stesso tempo è emblema della fragilità umana.

Lei ha lo speciale dono di trarre dal quotidiano, persino da un evento apparentemente banale, accorate riflessioni sul senso del nostro esistere. Cosa lo ha avviato su questo percorso?

Da credente sono stato sempre attratto dall’inestricabile mistero della sofferenza; dal “Perché” Dio, nella sua infinita misericordia, sottoponga l’uomo a frequenti tribolazioni, dal “Perché” si debba patire; ma non ho avuto mai alcuna risposta: la sofferenza è e resterà una realtà che ci supera, che ci domina.

In questi racconti ho voluto dialogare con il lettore, su questo misterioso enigma, in modo da fondere le nostre esperienze e renderci conto, ca mancu pi Gesù, Giuseppi, Maria e mancu pi tutti li Santi a vita fu tutti rosi e ciuri! In definitiva ho voluto sottolineare come l’esistenza sia una realtà in chiaroscuro, un’alternanza di sorrisi e lacrime, come quelle che scendono dalla rosa della copertina.

Sono i ricordi ad alimentare la sua scrittura. Spesso molto lontani nel tempo, eppure tanto vividi. Come ce lo spiega?

Questa domanda mi riporta alla memoria un capolavoro della letteratura: Alla ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust. Il protagonista, riassaporando da adulto una madeleine inzuppata nel tè, viene catapultato nel passato. Nel mio piccolo, mi succede la stessa cosa: ascoltando un motivo, sentendo un profumo la mia memoria vola, suscita sensazioni e desta ricordi che, come in una danza vertiginosa, si rincorrono veloci nella mia mente, si risvegliano echi di memoria sopita, vengo rapito e catapultato in quell’antica dimensione di quando sono avvenuti i fatti.

Perché tra le tante vicende umane ha voluto raccontare in questo libro anche quella del cane Al?

La storia del cane Al è una “realtà metaforica”. È un monito. Il cane è uno degli animali più originali in natura, manifesta il suo attaccamento all’uomo con una fedeltà sconfinata, s’immola per il suo padrone, che a volte non dimostra adeguata gratitudine, anzi lo abbandona, lo tradisce.

Non a torto il grande pensatore Arthur Schopenhauer sosteneva che chi è crudele con gli animali, non potrà mai essere buono con le persone. Anche per Al nun su tutti rosi e ciuri.

Da Lentini lei emigrò a Pordenone tanti anni fa. Il Gruppo Facebook Sei di Lentini se…l’Originale l’accompagna e sostiene in queste esperienze letterarie. Cosa significa per lei e per la sua scrittura farne parte?

Grazie per questa domanda che mi consente di esprimere ancora una volta la mia gratitudine al gruppo, agli amministratori e all’eclettico animatore, il simpatico Roberto Amore. Con immagini e ricordi, lui sa stimolare la nostalgia e la memoria, specialmente di quelli che viviamo lontano, stabilendo un vero cordone ombelicale con la nostra Lentini. Grazie anche a “Sei di Lentini se…l’Originale” questo mio terzo lavoro è decollato.

Domanda delle “cento pistole”: in questo libro lei si giudica ottimista o pessimista?

Un cristiano non può essere pessimista, sarebbe una contraddizione in termini.

Mi ritengo un realista, sensibile ai dolori della vita e alle cattiverie umane, e provo lacerazioni profonde di fronte ad ogni forma di ingiustizia.

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