Quasi a solenne conclusione del ciclo di rappresentazioni classiche e a suggello delle celebrazioni per il centenario dell’INDA (il prestigioso Istituto Nazionale del dramma antico nato agli inizi del XX secolo dalla mente fervida e irrequieta di quel genio di Mario Tommaso Gargallo), il Collegio Siciliano di Filosofia ha pensato di offrire a studiosi e a cultori del teatro tragico greco, una mirabile Lectio magistralis del filosofo Massimo Cacciari. Svoltasi nella cornice del Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa, la lectio ha visto la partecipazione tra gli altri di Alessandro Giacchetti, Commissario straordinario di Siracusa e di Guido Paduano, grecista e filologo di chiara fama, che ha presentato l’ultimo numero di DIONISO, la rivista di studi sul teatro classico da lui diretta ed edita dall’INDA.
Per l’occasione abbiamo incontrato Roberto Fai, filosofo del diritto e già presidente del Collegio siciliano di Filosofia, ideatore e promotore del Premio di Filosofia Viaggio a Siracusa, e anima culturale di questo importante evento, che ci ha condotto idealmente lungo i sentieri irti e ispidi tracciati con magistrale sapienza da Cacciari.
Professore Fai, Massimo Cacciari ha scelto un titolo quanto mai denso e problematico per questa Lectio magistralis: Colpa e giustizia.
“Sì, direi proprio che Massimo Cacciari, cui la città di Siracusa è legata da vincoli di amicizia non solo filosofica, ha fatto bene a proporre, per questa sua “Lectio”, nel Centenario dell’INDA il tema “Colpa e Giustizia”, dal momento che dentro questo binomio, dalla coppia in questione si diparte un vortice e un intrico di problemi, carichi di altissimo significato simbolico e filosofico. Ed è indubbio che Colpa e Giustizia attraversano in modo manifesto, denso, tutta la trilogia eschilea Agamennone-Coefore-Eumenidi, ben rappresentata in questo Centenario, nella efficace traduzione di Monica Centanni”.
L’intreccio problematico di colpa e giustizia è un po’ il filo rosso, il vero nodo teoretico ed esistenziale che attraversa la tragedia greca, e per esteso ogni vera “tragedia” umana dai greci a noi…
“Ben detto. Nelle Coefore/Eumenidi il passaggio che chiude il ciclo della vendetta ferina, per affermare la legge e la giustizia nella Polis è espresso con un timbro linguistico ed una parola, carichi di una forte valenza evocativa. Colpa e Giustizia pertanto scandiscono plasticamente l’intero arco delle tragedie che, da Eschilo a Sofocle, a Euripide, noi moderni abbiamo ricevuto in eredità dai Greci. Attraverso la tragedia, i greci vivono e sperimentano l’esperienza della inesorabile lacerazione umana. Sicché, il tragico, per essi, è davvero il luogo di precipitazione e di esperienza del conflitto vitale, ma anche il momento in cui l’Essere si espone, si manifesta, si dis-vela. Il tragico è, come aveva ben visto Nietzsche, evento”.
Questo intreccio fecondo nasce e si sostanzia nel polemos, ossia in quel perenne conflitto divisivo cantato da Eraclito come padre di tutte le cose. Come, secondo lei, nella visione di Cacciari quest’evento si declina nella nostra cultura contemporanea, così artificiosa e tecnologica?
“L’evento tragico secondo Cacciari squarcia e irrompe proprio nel conflitto tra natura e cultura, dove Cultura è anche Artificio, Tecnica (si pensi a PROMETEO). Quel conflitto che lega e avvita: Uomini e Dei, caso e necessità, libertà e destino, “violenza originaria” e Nomos, oppure per finire, appunto al tema di oggi Colpa e Giustizia. Possiamo ben dire che non è la tragedia come “genere letterario” che istituisce il “tragico”, bensì è l’esperienza e la visione tragica del mondo che fondano e istituiscono il “genere”. E se volessimo rintracciare il luogo in cui questa visione tragica del mondo si estrinseca, potremmo compendiarla nel concetto: all’origine c’è la violenza. E la violenza è tale, così costitutiva, fondativa, ontologicamente inscritta nel codice dell’agire umano che, non solo l’uomo deve agire, non può che agire, ma per il fatto stesso che agisce, deve patire”.
Questa necessità inquietante e sconvolgente della violenza è amplificata dal lessico di Sofocle quando parla del deinon.
“Sì! Non a caso, Sofocle nello stasimo dell’Antigone poteva scrivere che: <<Di molte specie è l’inquietante (quel perturbante, quel DEINON, di cui abbiamo appena detto), nulla tuttavia di più inquietante dell’uomo s’aderge>>. Quella greca è una “Scena originaria”, vale a dire che è segnata proprio da quel conflitto, da quella lotta in cui si gioca il Passaggio di Consegne tra Uomini e Dei, (e le tragedie ne sono massima espressione), per cui: <CHI AGISCE SI E’ SEPARATO E RESO AUTONOMO DAL PRINCIPIO DIVINO ED E’ QUINDI ADIKIA>, cioè nell’ingiustizia”.
Prof. Fai, potremmo concludere dicendo che si tratta sempre di un “giogo”, il giogo della necessità, così come si esprime il filosofo Severino, in ogni caso il giogo/gioco pericoloso di Ingiustizia e Tracotanza/presunzione, quel cerchio “magico” entro cui si iscrive l’intera esistenza dell’uomo?
“Il filosofo Emanuele Severino da lei citato, nel suo bellissimo saggio su Eschilo, proprio nel paragrafo intitolato suggestivamente “L’inganno del Dio”, scrive infatti che << ZEUS è causa di tutto, opera in tutto, quindi non solo conduce (ZEUS) i mortali al sapere che salva – cioè, offre loro la consapevolezza del legame tra dolore e conoscenza –, ma è lo stesso ZEUS che spinge i mortali alla HYBRIS (tracotanza) che rovina, li spinge ad essere ciò per cui sono puniti>>. Si pensi non solo a Prometeo, e al suo furto del fuoco donato agli umani (“soffro cose ingiuste”, dirà Prometeo nel dramma eschileo), ma anche ad Agamennone, necessariamente spinto dagli Dei al sacrificio di Ifigenia, per pagarne poi la colpa, da cui quella permanente circolarità sacrificale, produttrice della spirale di vendetta. Ed è proprio questo “giogo della Necessità” come si esprime Severino, che spinge i mortali ad osar tutto, senza che possano così sottrarsi all’inganno del Dio, secondo quel detto di Anassimandro che dai presocratici giunge sino al commento di HEIDEGGER nel ‘900 e alla Lectio di Cacciari”.
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