Lina Sastri: “Inseguivo il teatro come un sogno di libertà”


Lina

«Timidissima e scontrosa, con tanta voglia di assoluto e nessun adattamento al compromesso della vita, vede per la prima volta il palcoscenico e sceglie di fare l’attrice, fulminata da una vocazione annunciata già da quando era piccolissima e neanche sapeva che il teatro esistesse, ma ne respirava il rito con il profumo di incenso di chiesa, per inseguire quel sogno di libertà e di assoluto.»

Eccola Lina Sastri, si presenta da sé, una prepotente bellezza, un primo piano orgoglioso, una donna che non è personaggio, ma personalità; grande attrice e musicista, una carriera costellata da innumerevoli successi, una bravura ampiamente riconosciuta da David di Donatello e Nastri d’argento. Fra aneddoti e ricordi ci si svela con un sorriso tutto partenopeo, caldo, genuino ed accogliente, che ci raggiunge nonostante il telefono. Una conversazione piacevole, a tratti nostalgica, che ora la esalta, ora la diverte, ora la emoziona ora la blocca, fino a commuoversi, quando, abbassando la voce per pudore e rispetto, entra nella più intima profondità del ricordo di lui, il grande De Filippo, «Maestro» che le ha insegnato tanto.

 

Lina Sastri, napoletana di nascita eppure così vicina alla Sicilia …

«Sì, mio padre e mio nonno erano siciliani, mia madre napoletana, dunque scorre un doppio sangue nelle mie vene.»

Questa sicilianità come si manifesta, cosa ha Lina Sastri in comune con la donna siciliana?

«In effetti non saprei, posso dire che non ho la leggerezza napoletana che aveva mia madre, ma semmai, il barocco della Sicilia, forse sono anche più vicina alla tragedia che alla malinconia, alle tinte forti che alle tinte medie, in questo senso, di certo, sono vicina alla Sicilia, tanto è vero che quando Tornatore mi ha fatto recitare in Baaaria lui, seppur molto rigido, è rimasto soddisfatto del mio baarioto, forse perché, amo molto la vostra terra e mi viene naturale accoglierne ad orecchio la musicalità della lingua.»

Dalla recitazione di strada «sotto una tenda da circo» al teatro «col sipario rosso di velluto», così, di botto, si è ritrovata attrice, cosa significa per lei recitare?

«Recitare è stato un destino che ho seguito da ragazzina senza aver fatto teatro, senza aver fatto accademia drammatica, lo inseguivo come un sogno di libertà, come la possibilità di un assoluto, dopo, col tempo, tutto questo si è rivelato faticoso perché ho compreso che mantenere quel rigore di assoluto, quella severità di talento, quella sincerità di cuore è un qualcosa che molti cercano di distruggere e che tu devi cercare di mantenere intatto, ma è difficile!»

«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai molte maschere e pochi volti», diceva Pirandello, lei che ne pensa?

«Adoro Pirandello, la sua lingua, il suo modo di conoscere la donna, ho recitato I sei personaggi in cerca d’autore, La ragione degli altri e mi piacerebbe recitare Trovarsi e Come tu mi vuoi, Pirandello è meraviglioso … io concordo con lui, ma ho deciso di fare l’attrice proprio per non indossarla questa maschera, per essere libera!»

E la musica cosa rappresenta nella sua carriera?

«La musica è libertà, forse ancor più della parola, l’ho realizzata senza coltivarla, è andata da sola, ha viaggiato nell’aria, io vado ad intuito, l’ho incontrata ascoltando -tramite mia madre- il patrimonio della musica napoletana e non potevo non accoglierla, certo all’inizio ero una ragazzina frastornata che la rifiutava, ma poi l’ho fatta mia creando degli spettacoli in cui la musica diventa teatro, da Cuore mio a Corpo celeste, da Per la strada a Linapolina, fino ad Appunti di viaggio

E il grande Maestro De Filippo com’era, come indossava lui le maschere, se le indossava, quali segreti le ha insegnato e come?

«E’ una domanda complessa, alla quale potrei rispondere con vari aneddoti che non amo dire o con vari ricordi che non amo svelare … -si ferma- … sicuramente da lui ho imparato il valore del silenzio, ma ero troppo giovane, allora, e non l’ho compreso, se non più tardi, il valore del rigore, della conoscenza, della severità e della regola in teatro, per avere poi la forza e la libertà di poterla infrangere; da lui ho imparato la sensibilità dell’umiltà e di guardare oltre le cose, il tocco di una mano che, forse, è più importante di un gesto ampio; la verità è la sensibilità di un artista … un grande uomo!»

Era una sera del 15 settembre del 1984, quando, a Taormina, le parole di Eduardo De Filippo risuonarono come un testamento spirituale «Voglio vedere il teatro che non si arrende … », c’era anche lei al “Biglietto d’oro”, premiata per I sei personaggi in cerca d’autore, cosa ricorda di quei momenti?

«Fu una serata memorabile, ricordo soprattutto un’altra frase del Maestro «il teatro è gelo», tutti rimanemmo colpiti, nessuno se lo sarebbe aspettato, di solito si pensa al teatro come passione, ma lui, anche in quel caso, fu sincero, e come sempre la sincerità colpisce perché la sincerità è meno prevedibile di una bugia … voleva dire che avendo scritto quaranta commedie, come drammaturgo, autore e regista, non aveva potuto coltivare la sua vita privata!»

La vedremo il 19 agosto al teatro antico di Taormina per portare in scena “Appunti di viaggio”, di cosa si tratta?

«E’ uno spettacolo libero, con una scaletta di massima e senza scenografia, solo io, una sedia e tre musicisti, … racconto in maniera semplice i miei incontri nel teatro, nel cinema, nella musica, proprio come fossero appuntati su un taccuino di viaggio e parlando parlando, recito e canto, se cito Pino Daniele che ha scritto “Assaje” per Mi manda Picone, la canto, se cito Filumena ne recito un monologo, se cito Patroni Griffi ne recito un brano… dipende da quello che racconto, e i miei musicisti, liberamente, mi accompagnano in questo percorso!»

A breve sarà Miriam nel nuovo film di Pupi Avati, “Il sole negli occhi” in onda su Raiuno, nel ruolo di amica della protagonista Laura Morante, che panni vestirà?

«Miriam è una donna che, con molta semplicità, energia, sincerità e generosità, dedica la sua vita come fosse un lavoro, o meglio, una necessità, ad una casa famiglia che accoglie gli immigrati giunti a Lampedusa, soli e sopravvissuti a questa immane tragedia dei nostri tempi; Laura Morante, la protagonista, è una donna borghese, avvocato di gran fama, che, abbandonata dal marito per una donna più giovane, prima non sembra trovare più motivi per vivere, ma poi incontra uno di questi bambini e capisce che amare non è solo ricevere ma dare; così alla fine nasce una grande complicità fra le due donne che si approcciano a questa realtà parallelamente seppur in maniera diversa.»

 

 

 

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