Dopo due anni dal suo ultimo libro, incontriamo lo scrittore e giornalista palermitano Luca Di Martino per l’uscita in libreria del suo ultimo saggio intitolato “Nel nome del Padre, del Figlio e del Soviet Supremo- Nascita di una propaganda” edito da Santelli editore.
L’ultima volta che ti ho intervistato, avevi pubblicato una raccolta di racconti, adesso un saggio. Ti piace spaziare o non hai trovato un tuo proprio genere?
“(Ride) Diciamo che è un ritorno al saggio come genere ma più che essere io a scrivere, penso sia la scrittura che si impossessa di me imponendomi di mettere nero su bianco ciò che ritengo sia necessario. Per qualche mio collega tutto ciò potrebbe essere spiazzante, ma per me è una garanzia di qualità: scrivo solo se ho davvero qualcosa da dire e non per serialità”.
Dietro questo libro deve esserci allora una volontà molto forte…
“Più che altro, una genesi composta da tante apparenti casualità internazionali che poi si sono concentrate in questo volume”.
Luca Di Martino. Catturato dai vecchi manifesti di propaganda
Internazionali? Sembra qualcosa di interessante: racconta.
“Fin dai tempi dei miei studi universitari la mia attenzione si era concentrata sulle icone bizantine. Avevo approfondito gli studi sia in chiave storica che psicologica e mi era rimasta una sorta di predilezione visiva, Poi, come capita casualmente nella vita, passai del tempo in Russia e non solo ebbi occasione di vederne tante e molto importanti ma contemporaneamente fui catturato dall’estetica dei vecchi manifesti di propaganda di cui cominciai ad approfondire personalmente la storia”.
Uno studio personale…
“Sì. Anche fortunato perchè non solo potei accedere, grazie a conoscenze ,ad archivi statali russi pieni di opere originali ma portai a casa in Italia anche una buona bibliografia, ricordo ancora la faccia degli addetti all’aeroporto per le valigie piene di libri (ride). Ma alla fine la cosa finì lì.
E poi?
E poi successe l’imprevisto. Mi commissionarono un articolo per la rivista iconologica chiamata “Oriente Cristiano” chiedendomi un parere sulla sopravvivenza dell’icona dopo l’avvento della Rivoluzione sovietica”.
E da qui venne l’idea del libro.
“Non proprio. A seguito di quell’articolo fui invitato nel 2014 per una conferenza in un piccolo paese in provincia di Cosenza di nome Frascineto. E’ un paesino della comunità albanese (arbëreshë) con un museo dedicato all’Icona che è una piccola perla, vi consiglio di visitarlo se potete. Decisi che il tema sarebbe stato “Il manifesto di propaganda sovietica come sovvertimento dell’Icona” e che avrei portato un certo numero di immagini per illustrare le mie tesi, ma man mano che sceglievo le icone e i manifesti, mi rendevo conto che certe immagini erano le stesse a distanza di centinaia di anni e che non poteva essere una casualità”.
Insomma, all’inizio del ‘900 qualcuno aveva deciso di fare una sorta di “copia e incolla” con le icone, ma nessuno se ne era accorto?
“Se nessuno ricorda più l’originale, la cover di una canzone diventa essa stessa l’originale e se fai dei cambiamenti nessuno può obiettare. Il governo bolscevico, cancellando la memoria zarista e religiosa, aveva creato un vuoto di coscienza che si sarebbe colmato con le stesse immagini ma utilizzate in maniera diversa”.
Ci puoi fare un esempio?
“Basta vedere la copertina del mio libro: a sinistra la Madonna che tiene il bambino Gesù, a destra una madre che abbraccia il figlio mentre è minacciata dalla baionetta nazista”, ma questo è solo uno dei tanti esempi”.
Luca Di Martino. Dare al lettore la possibilità di analizzare
Quindi dal 2014 ad oggi hai dovuto raccogliere questo materiale.
“Sì e non solo. Dovevo dare al lettore la possibilità di analizzare il fenomeno su diversi piani: storico, artistico, religioso per poter avere piena coscienza di come le avanguardie artistiche sovietiche furono utilizzate dai bolscevichi per piegare la tradizione iconologica e creare la prima vera propaganda politica. Quindi il libro, all’interno dei capitoli si muove su piani per cercare di soddisfare il lettore.
Un lavoro di una certa mole.
“Sì, bibliograficamente impegnativo perchè i testi da cui prendere informazioni sono in varie lingue ma non solo, perchè quando credevo di aver finito, c’è stato il colpo di scena finale”.
Non sono molti i saggi con un colpo di scena al loro interno.
“A me è successo quando pensi che il tema del tuo saggio sia seppellito nel passato e poi scoppia la guerra tra Russia e Ucraina. Questo evento mi ha costretto a rivedere le mie conclusioni che sono aggiornate al 5 marzo, poco prima di andare in stampa”.
Come fa un evento di cronaca a influire su uno studio del passato?
“Semplicemente chi ha coscienza del passato, può interpretare diversamente il presente. Io avevo analizzato le icone, il loro sovvertimento da parte dei sovietici per creare l’idea di propaganda che poi sarebbe diventata la base della pubblicità commerciale alla caduta del muro di Berlino e che oggi è tornata ad essere propaganda di due fronti la cui matrice è la stessa: quella sovietica.
Quindi stai dicendo che, alla fine, nel conflitto, la comunicazione di Russia e Ucraina è la stessa?
“È cambiata solo la tecnologia e le modalità con cui è diretta: nel caso di Putin è rivolta al “mercato interno” russo che deve resistere all’Occidente “corrotto” e nel caso di Zelensky verso di noi con il senso di colpa di non dare aiuti bellici. Ma se leggerete il libro vedrete che tutto ciò in passato è già stato ampiamente fatto”.
Quale pensi sia l’idea portante del tuo saggio?
L’ho messa all’inizio come citazione di Paul Gauguin: “non fidatevi delle immagini” perchè si portano dietro tutta una serie di significati che bisogna saper analizzare e la nostra società è ormai così piena di immagini che invece di fermarci e pensare ci limitiamo a subirle, diventando di fatto, influenzabili.
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