Luigi Lo Cascio: “Fare l’attore, un assoluto piacere”


“Le passioni vanno assecondate, perché da un semplice interesse, a volte, può nascere il futuro di una vita”. È quello che accade a Luigi Lo Cascio: ci piace osservare come s’infiammi e si appassioni parlando del suo lavoro che non definisce un mestiere, ma “una continua emozione da affrontare con giocosità e serietà allo stesso tempo”.

L’attore palermitano è reduce dal successo del film tv in due puntate “Il sogno del maratoneta”, in onda su Rai Uno, nel quale interpreta l’atleta Dorando Petri.

 “Mi sono innamorato del mestiere dell’attore – racconta entusiasta Lo Cascio – il mondo del teatro mi ha totalmente rapito e, così, ho capito che volevo  recitare”.

Lei è attualmente in tournée con “Dicerie dell’untore”, trasposizione scenica del romanzo di Gesualdo Bufalino. La creazione lirica e barocca dello scrittore siciliano rivive nella lettura dell’opera fatta da Vincenzo Pirrotta. Quali sono le novità apportate nell’edizione teatrale rispetto al romanzo?

“Vincenzo Pirrotta non ha deciso di rappresentare integralmente il romanzo; ha scelto di dare vita ad una parte molto consistente di esso. La rappresentazione scenica, soprattutto nella seconda parte, si concentra principalmente sullo svolgimento della storia d’amore tra il protagonista e Marta. Lo spettacolo teatrale vive nella descrizione del rapporto dei protagonisti tra Amore e Morte. Il linguaggio di Bufalino non è stato cambiato; portare in scena una lingua così complessa, vertiginosa, sublime senza essere modificata è, senza dubbio, un punto di forza fondamentale di tutta l’opera. La sperimentazione linguistica è ben riuscita e posso dire, con tranquillità, che questo spettacolo ne è un’ottima dimostrazione, ricca di importanti interventi lirici in siciliano”.

 


Il suo lavoro, necessariamente, la porta lontano dalla sua Sicilia. Quando è lontano dalla sua terra, dalla sua gente, cosa porta con sé della sua sicilianità?

“Io mi sono formato sotto determinati suoni e sapori; le proprie radici, le proprie essenze naturali rimangono. Ogni uomo è fatto da una confusione d’impulsi, sensazioni, passioni inestricabili ed è normale che in qualunque posto mi trovi c’è sempre un palermitano”.

Muove i primi passi a teatro ancora da studente universitario, abbandona la facoltà di medicina, perché folgorato dal mondo teatrale. Cosa l’ha spinta a fare questa scelta?

“Da ragazzo con degli amici facevamo atletica leggera e andavamo a vedere le trasferte dei campionati del mondo; eravamo una specie di supporter della nazionale italiana ed era un periodo in cui non c’erano tanti soldi, avevamo vent’anni, e per mantenerci facevamo teatro di strada e alla fine degli spettacoli passavamo con il cappellino e raccoglievamo ciò che ci serviva per continuare il viaggio. Facevamo delle gag, delle comiche e quando c’era qualcosa da dire la dicevo io. Da quest’esperienza mi sono accorto che mi piaceva recitare. Ho fatto un provino con Federico Tiezzi per “Aspettando Godot” al Teatro Biondo di Palermo; fui scelto per una parte molto piccola e durante la tournée mi sono innamorato del mestiere dell’attore. Studiare il testo, fare le prove a tavolino, spiare gli attori mentre recitavano, vivere i luoghi del teatro e osservare la soglia di passaggio tra la vita reale e la vita del personaggio mi ha molto suggestionato e da tutto ciò ho capito che volevo fare l’attore. A quel punto, avevo ventidue anni, ho provato ad entrare all’Accademia d’Arte Drammatica. Fortunatamente mi hanno preso e ho continuato per questa strada”.

Ha sempre guardato il cinema con diffidenza, eppure arriva la vera consacrazione artistica attraverso esso. Nel film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana interpreta un ruolo delicato ed importante legato alla lotta contro la mafia. Cos’ha lasciato in lei l’interpretazione di un personaggio importante come Peppino Impastato?

“Moltissimo. È stato un incontro con una persona non con un personaggio; la sua presenza era molto viva sul set, grazie ai racconti della madre, del fratello Giovanni e degli amici. Attraverso i loro racconti ho potuto conoscere come spettatore la figura di Peppino, un uomo straordinario che sfata i pregiudizi di chi come lui, vivendo in un ambiente particolare, è obbligato a ripercorrere la figura paterna. È stato un ribelle, un uomo in rivolta che ha avuto il coraggio di mettersi contro il padre; una delle cose più scandalose che poteva accadere per un giovane in Sicilia, soprattutto, in quegli anni. Ho subito provato una grandissima ammirazione e  un grandissimo piacere, poiché attraverso me risuonavano le sue parole, il suo urlo di rivolta. Un uomo straordinario, vissuto troppo poco, che avrebbe avuto  delle parole appropriate, pertinenti, per leggere la realtà di adesso e sarebbe stato, sicuramente, un grande punto di riferimento”.

In poco tempo è diventato uno degli attori più importanti e stimati del cinema d’autore italiano. Lei è stato paragonato ad attori del calibro di Dustin Hoffman e di Al Pacino. Tutto questo successo e la relativa responsabilità che ne consegue quanto pesano in Luigi Lo Cascio uomo e non personaggio?

“Non sento responsabilità; ciò che faccio non lo faccio per aderire ad un compito. Per me fare questo mestiere è un assoluto piacere, è la passione che mi spinge. Non ricopro una carica, la responsabilità la vedo per quelle professioni in cui bisogna rispondere agli altri in termini morali. Nel mio lavoro, fortunatamente, è presente una forte componente giocosa unita ad un grande impegno e ad una estrema serietà professionale”.

Negli anni ottanta ha fatto parte di un gruppo cabarettistico, Le Ascelle, dalla comicità surreale. Si ricorda il suo primo vero provino?

“Il primo vero provino è stata l’Accademia d’Arte Drammatica. Ho pensato di fare l’attore molto tardi e sicuramente mi ha aiutato l’incoscienza; mi divertiva preparare i pezzi per i provini e affrontarli con una certa gioia. Questo tipo d’atteggiamento, forse, deriva dall’esperienza fatta attraverso il teatro di strada. Non c’è pubblico più esigente di quello delle strade, delle piazze; è un pubblico che, durante la fretta della vita, deve essere motivato a rimanere realmente. Si misura il piacere dello spettatore da quanto pubblico rimane e da cosa si raccoglie nel cappellino. Tutto questo mi aveva allenato ad affrontare, inizialmente, lo stato recitativo in maniera molto più goliardica, scanzonata per arrivare ad una consapevolezza seria. L’accademia mi ha formato e mi ha dato la possibilità di approfondire il concetto di lettura come atto intimo e personale”.

Luigi Lo Cascio non solo attore ma anche regista. Che effetto fa stare dall’altro lato dell’obiettivo?

“Mi sono divertito moltissimo. Io in questo film, di cui ancora non si ha un titolo certo, recito, dirigo e scrivo la sceneggiatura. Un momento molto esaltante di tutta la lavorazione è sicuramente il fattore tempo, poiché riuscire  a fare le scene in tempo limitato e al meglio è paragonabile all’utilizzo della metrica nella composizione poetica. Bisogna riuscire ad ottenere, in breve tempo, la massima capacità espressiva e, per me, questa è stata la cosa più esaltante”.

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