Luisa Ippodrino è una giovane attrice catanese che ha deciso di forgiarsi, sia come performer che come persona, non iscrivendosi ad un Accademia di Recitazione o di Danza, ma partecipando attivamente a stage creativi e sperimentali seguiti da vari professionisti. Impegnata attualmente con il progetto S.E.T.A. di Silvio Laviano e nella messa in scena del progetto formativo Femmine-Piccola Tragedia dell’amore, dove interpreta Elettra, Luisa Ippodrino racconta la sua costante ricerca intima e attoriale, spiegando l’interessante lavoro che cerca di compiere sulla verità: quella che riguarda sé stessa, la danza, il teatro e la donna.
L’intervista a Luisa Ippodrino
Quali esperienze ti hanno formata maggiormente?
“Tutte le esperienze in cui mi sono sperimentata hanno lasciato qualcosa di indelebile e formativo. Dicono di me che faccio tante cose , forse troppe! Lo faccio un po’ per curiosità e un po’ perché son fatta così. Di certo poi in questo momento storico, il lavoro bisogna inventarselo! Al di là delle esperienza comunque ho avuto la fortuna di avere insegnanti eccezionali come Eleonora Bordonaro per il canto e Armando Nilletti. Con Eleonora ho partecipato allo spettacolo sull’Orlando Innamorato a Paternò. Davvero spettacolare. Con Armando invece abbiamo da poco girato un film ambientato in Sicilia. Poi non posso non nominare Giovanni Calcagno, Fioretta Mari e Mimmo Cuticchio, e Antonella Sannino, la mia insegnante di danze tradizionali del Sud Italia. Sicuramente è stato molto importante il lavoro svolto con il Teatro degli specchi. Lo storico teatro catanese, diretto da Aldo Lo Castro, ha sempre seguito un percorso artistico affidato alla sperimentazione e in particolare, negli ultimi anni, alla messa in scena di novità teatrali, congeniali alle mie propensioni. In particolare io ho avuto la fortuna di lavorare con il bravissimo regista e autore catanese Marco Tringali, che ne cura il Laboratorio teatrale, interpretando la commedia Mela di Dacia Maraini, per la riduzione di Romano Bernardi. In quell’occasione ho recitato a fianco della moglie del regista, Alessandra Cacialli e della figlia Debora Bernardi. Un’ altra esperienza fantastica, anche perché si è trattato di uno stage molto più corposo, è stato quello seguito in Umbria, nell’eco-villaggio della Libera Università di Alcatraz, gestito dal figlio di Dario Fo, Jacopo e da sua moglie Eleonora Albanese. Lì ho incontrato e lavorato anche con Dario Fo, interpretando vari monologhi scritti da lui per la moglie Franca Rame, ad esempio Il risveglio e Lo stupro. La libera università di Alcatraz è un luogo veramente rilassante e libero dove viene prodotta arte in ogni forma possibile, mentre ci si gode il cibo biologico e l’ottima compagnia. Verrà montato anche un documentario su questa realtà e sugli stage tenuti per la compagnia di attori, di cui farò parte anche io. Mi è piaciuto tantissimo anche sperimentarmi con il Burlesque, grazie alla mia insegnante Giuditta Sin”.
Come sei arrivata a lavorare con Silvio Laviano?
“Mi ero allontanata dalla Sicilia, come accennavo non per seguire o studiare nelle Accademie, sono stata sempre molto vagabonda nell’imparare la mia arte. Ho lasciato che l’istinto teatrale ed attoriale prendesse il sopravvento senza artefici e finzioni, volendo restare neutrale e libera. Il mio scopo è stato sempre quello di lavorare sulla verità. Il laboratorio e l’operato che segue Silvio è proprio quello che cercavo. Uno studio improntato sulla verità che si produce svolgendo un lavoro emotivo e sensoriale corporeo. È un po’ complicato da spiegare. Esiste un lungo processo di training preparatorio da seguire prima di uno spettacolo. Tuttavia questa pratica è consigliatissima per chiunque, anche per chi deve semplicemente leggere un brano in chiesa. Serve infatti ad eliminare ogni sorta di barriera e a seguire il movimento spontaneo del proprio corpo. Questo è un lavoro che riporta e spiega anche Orazio Costa con la logomimesi. Silvio Laviano punta al lavoro sull’essere umano, cerca di far condurre la propria essenza in scena, mettendo a nudo quello che è il proprio mondo personale ed emotivo. E questo avviene non solo per mezzo del corpo ma anche tramite la parola, la tecnica, la dizione. Poi io nasco più che altro come ballerina, la mia base di partenza rimarrà sempre la danza a cui poi ho unito la parole per creare un teatro puro. Spero di continuare a lavorare con Silvio, grande professionista, ma anche grande amico”.
Come hai interpretato Elettra?
“Con Silvio e in generale nelle mie passate collaborazioni ho lavorato molto sull’improvvisazione. Molto spesso si parte da un tema, a volte con la musica altre volte no, sia singolarmente che in gruppo. Anche l’improvvisazione ovviamente segue delle regole e ha dei limiti. Tuttavia tramite questa tecnica si arriva ad una fase quasi onirica. La ragione si fa da parte e certe volte si diventa aria fuoco, elementi puri. Questo lavoro prepara anche alla totale apertura al testo. Per Interpretare dei ruoli precisi e complicati come Elettra poi è necessario uno studio intimo e interiore. Anche una donna apparentemente molto lontana da me come può esserlo un personaggio della mitologia greca, dopo un attento lavoro personale può offrire chiave di letture universali e un punto preciso su cui soffermarsi per l’immedesimazione. In questo caso mi sono dedicata al rapporto con mio padre e ai momenti difficili passati durante la sua malattia. Questo è uno dei modi possibili per affrontare il testo e il personaggio”.
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