“Comunicare il patrimonio” è l’obiettivo principale di Officine culturali. Il loro mantra, dicono, è “educare, emozionare e divertire, allo scopo di rendere vitali i beni culturali come luoghi sociali di aggregazione, di occupazione e professionalizzazione”. Per rendere concreto l’ambizioso progetto, il team dell’associazione lavora dal 2009.
La squadra è formata da professionisti che hanno avuto un’idea semplice: unire le proprie conoscenze e le proprie esperienze in settori differenti per la creazione di un nuovo modello di gestione dei beni culturali. Tutto è iniziato al Monastero dei Benedettini, grazie ad una convenzione con l’Università degli Studi di Catania. E proprio il gioiello monumentale etneo è location ideale. Si tratta, infatti, di un sito storico monumentale che, oltre ad essere sede di alcune facoltà dell’Università di Catania, attira tantissimi turisti ogni anno.
Abbiamo intervistato Francesco Mannino, presidente dell’associazione, per capire cosa è cambiato e come.
Come promuovete il territorio?
“Offriamo un servizio giornaliero e continuo. Il nostro motto per quest’anno è stato “al Monastero dei Benedettini lo facciamo tutti i giorni”. Noi crediamo che sia necessario trasformare lo “straordinario” in “ordinario” e sappiamo che questo è possibile. Dal 2013 abbiamo trovato un ottimo terreno fertile da parte dell’Amministrazione Comunale: basti pensare alle diverse edizioni della “Notte dei musei”, il concorso fotografico “I Like Catania” e molto altro. Ogni giorno il nostro infopoint al Monastero accoglie centinaia di persone che ricevono informazioni sulla città e sul complesso. Le nostre visite guidate non si fermano mai (solo il 25 dicembre). Creiamo format per eventi dentro il Monastero, teatrali e musicali, e molti laboratori per i bambini. Grazie a questa offerta continuativa e ordinaria, raccontiamo di un Monastero che contiene ed esprime la storia dell’intera città. Il Monastero ci aiuta a parlare della Sicilia e dei siciliani, ma anche dell’ingegno italiano e delle contaminazioni “forestiere”. Crediamo molto nella collaborazione con altri professionisti: sono tanti i nostri partner che vanno del mondo dello spettacolo, del giornalismo e della didattica. Nel nostro bookshop Monastore diamo spazio ad artigiani e editori locali, ospitando mensilmente una presentazioni di libri di autori siciliani”.
I servizi che offrite vi permettono di guadagnare? Se sì, come utilizzate il ricavato?
“Officine Culturali è un’associazione no profit. L’associazione non vive di finanziamenti pubblici e il suo core business è costituito prevalentemente dagli introiti delle visite guidate. In buona sostanza ci autososteniamo. Nel 2013 siamo riusciti ad attivare 7 contratti part time, da giungo 2014 tutti a tempo indeterminato. L’obiettivo per la fine del 2014 è l’assunzione di altri soci. Una parte del ricavato inoltre viene versato all’Università che ci permette, attraverso la convenzione stipulata nel 2010, di svolgere le attività di valorizzazione all’interno del Monastero. Paghiamo poi un forfettario fisso annuo per i locali che oggi ospitano l’infopoint, il bookshop e i nostri uffici. Infine in questi quattro anni sono stati tanti i collaboratori esterni che hanno lavorato con noi, e l’indotto dei servizi comincia ad avere una consistenza misurabile. Molto si sta investendo in progettazione e in attrezzature per la didattica. Vorremmo nel giro di qualche anno riuscire ad ottenere finanziamenti e donazioni per realizzare delle opere di restauro di alcuni spazi del Monastero”.
Quali sono le difficoltà che incontra chi si occupa di cultura?
“La cultura viene spesso intesa come un accessorio, qualcosa a cui si può rinunciare in periodi di crisi. I turisti sono “cittadini di altrove” in cerca di contatto e conoscenza delle culture altrui. “C’è crisi, non ci sono soldi”, altro mantra ripetuto all’infinito dalle istituzioni, porta inevitabilmente alla conclusione che il lavoro intellettuale, creativo, organizzativo svolto da professionisti può anche essere dequalificato, sottovalutato o improvvisato”.
Come rispondono i più piccoli?
“La fiducia che abbiamo riposto nell’efficacia del gioco durante il processo di apprendimento ha dato e dà ogni giorno i suoi frutti. I più piccoli vengono coinvolti in attività che li divertono, ma allo stesso tempo permettono loro di comprendere l’importanza della storia con la quale entrano a contatto: è l’essenza dell’edutainment, neologismo anglosassone che sintetizza l’approccio misto tra educazione e diletto. I bimbi che passeggiano dentro il Monastero con la loro guida molto spesso provano la sensazione di trovarsi dentro Hogwarts, la scuola di magia del celebre maghetto Harry Potter, e rimangono a bocca aperta davanti all’imponenza e alla bellezza del plesso monastico benedettino. I ragazzi conducono un’esperienza non solo piacevole, ma anche istruttiva, che a volte li coinvolge al punto da esclamare: “Da grande voglio diventare un archeologo!” o “Studierò per fare lo stesso lavoro che fai tu qua al Monastero!”. In collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umanistiche stiamo allestendo uno spazio che sarà interamente dedicato ai più piccoli”.
Ci sono nuovi eventi in programmazione?
“Si. Nel 2014 vogliamo segnalare il progetto di wayfinding “Perdersi per orientarsi” realizzato con gli studenti del Dipartimento che si concluderà tra qualche settimana con la presentazione della nuova segnaletica interna al Monastero. Stiamo completando l’allestimento del Museo di Archeologia di Palazzo Ingrassia, con la consulenza indispensabile degli archeologi dell’Università. Quest’estate apriremo nuovi percorsi all’interno del Monastero stesso, spazi che non sono mai stati aperti al pubblico. Il nostro sogno? Che il patrimonio culturale e i luoghi della cultura siano la casa di tutte le persone, dell’umanità intera”.
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