Le contraddizioni del mentre, edito da Le farfalle, libro esordio della giornalista cinematografica Ornella Sgroi, racchiude 16 storie in movimento, nate dall’idea di catturare il senso del tempo e delle infinite possibilità che esso racchiude “ma sempre con dentro il seme di una qualche possibile modificabilità”.
L’intervista ad Ornella Sgroi
Cosa intende con le contraddizioni del mentre?
“L’idea di questo libro nasce da una riflessione sul mentre. Volevo creare delle storie in movimento tutte legate da questa contemporaneità. Ai personaggi dei miei racconti succedono delle cose, ma, contemporaneamente, nel mondo esterno ne capitano altre, e inoltre i loro stessi pensieri ampliano e dilatano la dimensione temporale, creando un ulteriore spazio del mentre. Queste dimensioni spesso si contraddicono. C’è chi ha interpretato i miei racconti come parti strutturate di un’unica temporalità, pensando ad una generale contraddizione del mentre che si estende poi a tutto il libro, letto quasi come un romanzo. Come se tutti i miei personaggi stessero agendo nello stesso momento, ognuno vivendo la propria fetta di vita. Si tratta di una bellissima interpretazione, un regalo che il lettore fa a me scrittrice. Tuttavia la mia idea originale non è questa. Le storie si sono generate singolarmente e il progetto del libro prevede di considerarle una staccata dall’altra. Ognuna nel suo microcosmo e con la propria contraddizione del mentre. E tutto il resto del mentre è accaduto comunque.”
Com’è stato per lei, da giornalista cinematografica, scrivere un’opera narrativa?
“Mi sono divertita a spaziare in tutti i modi possibili durante l’atto della scrittura. All’interno della cornice del mentre le mie storie in movimento sono tutte estremamente diverse, sia nello stile che nella trama. Varia il soggetto narratore, da omodiegetico (24 minuti, semaforo rosso) ad eterodiegetico, cambiano i punti di vista; anche se la maggior parte delle protagoniste sono donne, in Paternità o Il neo, ad esempio, i personaggi sono uomini. Diversa anche la gamma di emozioni rappresentata in ogni racconto: la paura (Morta a Venezia), l’ansia (24 minuti), la passione (Late Bloomer), la malinconia (Il neo), il disprezzo (Schifo), tutto indorato da un ingente quantità di ironia. E infine lo stile che può toccare vette poetiche come in La Dea di Lampedusa o mantenersi semplice e diretto, ad esempio nel monologo-dialogo Semaforo Rosso. Sicuramente scrivere è stato un atto catartico e liberatorio. La scrittura narrativa mi ha permesso di liberarmi degli schemi giornalistici, di poter ampliare la durata e l’estensione delle storie ma soprattutto mi ha offerto la possibilità d’inventare e creare immagini”.
Quanto c’è di autobiografico nei suoi racconti?
“Di letteralmente autobiografico nulla, in realtà. Tuttavia questi racconti non esisterebbero senza gli spunti nati dal mio sguardo giornalistico sulle notizie, sugli avvenimenti e i fatti. I giornalisti hanno infatti il grande privilegio di saper cogliere legami tra fatti apparentemente ricollegabili, di episodi slegati tra loro e di trovarne i collegamenti. Inoltre il mio modo di scrivere è imprescindibile dal mio approccio cinematografico alla vita. I personaggi e le situazioni dei miei racconti, prima di diventare scrittura pura, mi sono apparsi come sequenze d’immagini”.
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