“Ragazzi, non fidatevi delle idee facili: durano poco e non portano lontano. Solo con la fatica si ottengono grandi risultati”. È perentorio lo psichiatra Paolo Crepet, a Catania per presentare il progetto “Creativity Camp”, rivolto ai giovani dai 17 ai 30 anni. Un percorso che ha attraversato l’Italia per scoprire nuovi talenti e idee innovative. “Le nuove generazioni – prosegue Crepet – sono stufe di sentire parlare solo di disoccupazione e di crisi. Vorrebbero invece delle risposte concrete, delle opportunità per crescere e costruirsi un futuro. E poi, non dimentichiamo l’etimologia della parola crisi: vuol dire crescita, non sventura. Sono fermamente convinto che ne usciremo migliori”.
Dal suo osservatorio privilegiato, come vede i ragazzi italiani?
“Difficile dare una definizione per tutti. Certo, quelli che non lavorano e non studiano secondo me hanno “abdicato” alla loro giovinezza e avranno un futuro difficile. Accanto a loro, però, ci sono quelli che tutte le mattine si alzano e vanno in cerca di qualcosa, anche fuori dalla loro città. L’immigrazione una volta era dolorosa, oggi invece può anche essere considerata un’opportunità. Non capisco proprio chi dice che noi adulti consegniamo ai giovani un mondo peggiore: quando io ero ragazzo, non potevo certo andare a New York con i voli low cost a 29 euro, né potevo, da casa – grazie ad un computer – conoscere in un’ora tutti i corsi universitari del mondo. Oggi ci sono occasioni impensabili anche solo in un recente passato”.
Come si può indirizzare il talento dei nostri figli?
“Ognuno di noi ha un talento, il vero problema è scoprirlo. Non tutti sono nati per essere dei manager, alcuni ad esempio sarebbero degli eccellenti artigiani. Sarebbe bene ricordare che l’Italia non è un Paese a vocazione industriale. Le nostre vere radici stanno nell’artigianato, ad esempio nella produzione delle splendide ceramiche siciliane. Sarebbe una follia rinnegarle”.
Secondo lei l’Italia è un paese per giovani?
“No, nella maniera più assoluta. Anche il Festival di Sanremo è diventato uno spettacolo poco adatto ai giovani: sembra un ritrovo di pensionati. Lo stato della musica nel nostro Paese è una metafora di tutto il resto, ed è indicativo del fatto che noi adulti, purtroppo, stentiamo a voler cedere il passo ai nostri figli, in tutti i settori. Non c’è futuro senza una generazione che spinge in avanti, e noi, ormai, siamo troppo vecchi per farlo”.
Che consiglio si sente di dare ai ragazzi?
“Noi adulti possiamo e dobbiamo darvi fiducia, ma il resto dovete farlo voi. Studiate, lavorate, scommettete su voi stessi, imparate ad andare avanti con le vostre gambe. Bisogna avere fame, sentire la necessità di rendersi autonomi e indipendenti. Di voler costruire qualcosa. La vita comoda non porta da nessuna parte”.
Lei è anche direttore scientifico di una “Scuola per genitori”. Che studenti sono? Svogliati o disciplinati?
“Li definirei studenti curiosi. Molti di loro hanno la consapevolezza che sono stati commessi parecchi errori in termini di educazione dei figli, e desiderano migliorarsi. Può essere solo un bene”.
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