Piera degli Esposti torna a Siracusa, dopo dieci anni di assenza, per solcare le scene del Teatro Greco nelle vesti di Atena in Coefore/ Eumenidi, il secondo atto della trilogia Orestea di Eschilo. La incontro in Ortigia, in un giorno ventoso. Sta firmando la petizione del Gruppo Toponomastica Femminile per restituire un nome alle vittime italiane dell’incendio della Triangle Waste del 1911 che ricordiamo ogni otto marzo, poi parliamo della condizione delle donne e del teatro.
“Penso che le donne siano in corsa continua verso una condizione migliore, hanno sempre proseguito, non hanno mai regredito. Ma è una corsa ad ostacoli, non è facile superare secoli di non parità. Però sono ottimista perché le donne hanno sempre governato, nel piccolo si intende, la famiglia, i figli, i mariti, le situazioni economiche. Perciò hanno il senso della responsabilità di governo. Si tratta di aprire la porta di casa e farle uscire”.
Ma rispetto alle richieste del movimento delle donne a che punto siamo?
“Che oggi si sia indietro in rapporto a quello che volevamo e vogliamo è naturale. Ma io sono per la pazienza, credo nella vittoria della pazienza, in cui le donne sono maestre. Esiste un movimento lento ma inesorabile”
Il Teatro, nelle condizioni economiche difficili in cui versa tutto il settore culturale, oggi che ruolo può avere?
“Secondo me questo è un momento di rinascita: chiude qualcosa, si ma chiudono anche le piccole fabbriche, i droghieri di quartiere. Invece bisogna guardare al fatto che tanti giovani attori bravi invece di buttarsi nel cinema o nella tv vogliono fare teatro e tanti piccoli spazi di teatro vengono aperti: la gente non smette di amare il teatro. Mi ricorda un po’ il periodo in cui ero giovane. Il Teatro greco di Siracusa ne è la dimostrazione, ogni sera ci sono almeno 4-5mila spettatori. E ci sono molti giovani, che vengono da Cagliari o dalla Lombardia, li vedo entusiasti, ci cercano nei camerini. Il pubblico del Teatro Greco di Siracusa è molto attivo, reagisce, applaude, borbotta. Sto interpretando Atena, dea fondatrice della filosofia, così importante per la nostra civiltà, ma soprattutto quello che cerco di sottolineare è il fatto che lei fa scaturire da un male un bene. Poi non avevo mai indossato l’elmo e la lancia, mi piace, questo lavora sulla tempra guerresca che c’è in ognuno di noi”.
Come spiega questa ricerca di teatro?
“Aumenta il bisogno di fisicità, di una relazione concreta fisica reale: nel teatro tu vedi l’attore in carne e ossa, può sbagliare, può avere paura, può piacerti oppure no. Ci vuole molto coraggio per fare l’attore di teatro. Il teatro, come la fede, ti dà un senso della misura, delle proporzioni. Non sei solo, l’attore ha una misura nel suo pubblico. Ed è bellissimo. Grazie a mio padre sono stata educata a cercare sempre le proporzioni e il buddismo aiuta, come il teatro. Il Teatro è terapeutico”.
Lei è credente?
“Io sono buddista, seguo Daisaku Ikeda, anche se provengo da una famiglia di cultura cattolica, laica, ma cattolica. Siamo tutti cresciuti con frasi del tipo “Ricordati che devi morire”, “siamo in una valle di lacrime”, invece nel buddismo sono tutti instancabili sostenitori della pace. Il buddismo si concentra sulla pulsione vitale, ottimista, mai rivolta alla morte. Ti aiuta e aiuta ad aiutare sviluppando la compassione verso gli altri e insistendo sul vivere inseriti nel sociale. Non puoi non sentirti parte di questa umanità, anche quando è tragica”.
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