“È la Bellezza, politica”: stavolta il vecchio adagio viene ribaltato. Il mecenate siciliano Antonio Presti punta ad uno scranno senatoriale, il suo nome è ai piani alti della lista del Megafono. Presti, in questi anni, è stato tra i pochi in Sicilia (forse l’unico) a promuovere con progetti originali l’arte e la cultura dell’Isola. All’Italia intera ha mostrato che la bellezza può celarsi anche dentro una periferia, come quella di Librino. Siciliaedonna lo ha intervistato.
Cosa le ha detto il suo amico Crocetta per convincerla ad accettare la candidatura?
“Più che Crocetta, ho scelto io di mettermi al servizio di questa Sicilia.
Il mio patrimonio personale di esperienza maturato in 30 anni di impegno civile fa sì che la mia candidatura nasca come servizio ma soprattutto nel segno di una continuità di un impegno di chi ha sempre creduto nello Stato. La mia politica resta sempre quella di restituire un Futuro per la Sicilia”.
Sono certo che un paio di idee le frullano in testa. Una volta eletto al Senato c’è un progetto che vorrebbe si traducesse in realtà?
“Il mio unico interesse è consegnare un patrimonio enorme che ho creato in questi anni in Sicilia. La consegna del Futuro parte da Catania con Librino, Fiumara d’Arte a Tusa, il nuovo progetto del Parco delle Madonie, a Palermo l’impegno civile per il fiume Oreto. Forse adesso, dall’interno, questo mio percorso può determinare un’azione etica ed estetica”.
Se penso agli artisti prestati alla politica, mi viene in mente Gino Paoli che scappò dal Parlamento giudicandolo troppo noioso. Lei ha messo nel conto una delusione?
“No, non ho la delusione come valore ma la resistenza. Certamente so che se dovessi entrare in Senato mi sentirei a casa, visto che in questi anni ho servito sempre una idea di Stato. Rispetto agli altri senatori il mio biglietto d’ingresso non è sdoganato da un partito ma dal mio personale impegno civile. Se andrò al Senato non è perché ho servito un partito ma perché ho sempre servito la Bellezza”.
I suoi amici di Librino come hanno accolto la sua candidatura?
“C’è un grande consenso e un grande affetto. Certo, non sono il senatore che va a cercare i voti nella maniera classica. Librino con me può avere una voce. Sinora le istituzioni non hanno mai decretato la crescita del quartiere, lo dimostra il fatto che tutti i progetti da me promossi hanno avuto una continuità solo grazie al mio impegno. Qui si vede la mancanza di civiltà di uno Stato. Per 30 anni ho dovuto resistere ad una politica scellerata”.
Quello che ha fatto per il popoloso quartiere catanese potrebbe essere replicato in altre realtà italiane affini a Librino?
“Senza dubbio. È la testimonianza di un modello di nuova politica sociale che trova nella conoscenza il futuro nelle nuove periferie. Le periferie non sono quei luoghi che dobbiamo civilmente recuperare quando, invece, siamo stati tutti complici di aver creato Librino, Zen e Scampia. È una proposta, la mia, che lo Stato potrebbe applicare come nuova politica. Non so, però, se la politica classica preferisce consegnare a questi non-luoghi il diritto alla cittadinanza attraverso la conoscenza e non esercitare più il proprio potere con l’acquisto di un voto attraverso la necessità e la sottomissione”.
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