“La luce perfetta” di ognuno di noi


La prima volta, l’inizio, è un tardo pomeriggio di ottobre- la luce è un orlo rossastro, un lembo di cielo spoglio all’orizzonte contro cui premono nuvole scure e pesanti. Il posto si chiama Croci…”

Questo è l’inizio del primo romanzo della scrittrice torinese Elena Varvello, “La luce perfetta del giorno” – edito fandango -. Quanto valore e quanto sforzo, quanta speranza e anche, perché no, soddisfazione c’è dietro la costruzione di un romanzo lo chiedo direttamente all’autrice, Elena. L’incontro avviene una mattina che fa veramente freddo, siamo all’interno della scuola dove lei insegna e io studio, la Scuola Holden di Torino. Tra una lezione e l’altra, ci vediamo per parlare del suo romanzo, pubblicato l’anno scorso.

 

Inizio con le domande difficili, così sciogliamo subito il mio imbarazzo. Perché, perché proprio questa storia?

“Anche io sono in imbarazzo, lo sono sempre quando parlo delle mie cose. Perché questa storia? La verità è che ci si dimentica di certe cose, rimangono avvolte da un manto di mistero, come un po’ tutti i processi che riguardano la scrittura. Quando finisci un libro poi, a mio avviso, cerchi di rimuovere e allontanarti da esso, così da poter cominciarne un altro. Per ‘La luce perfetta del giorno’ è stato molto strano, strano e misterioso, appunto. Avevo pubblicato una raccolta di racconti, prima di questo romanzo.” (Si riferisce a “L’economia delle cose”, edito fandango, pubblicato quattro anni fa). “Il mio obiettivo era quello di continuare a scrivere racconti. In Italia, però, non sarebbe stato facile, perché il racconto non viene visto bene né dagli editori, né dal mercato. Eppure, capitava che io mi sedevo, iniziavo a scrivere e quello che scrivevo erano tutte storie brevi, racconti. Fin quando non è comparsa lei.”

Lei chi?

“Matilde, la protagonista del romanzo. Per me scrivere è una ‘visione’, il momento dell’idea è una visione. Così capita che dal nulla, accanto a me, è comparsa lei e mi ha detto:  Allora, che dobbiamo fare? Ho iniziato a scrivere di lei e occupava molte più pagine del previsto, così ho deciso di scrivere tre racconti lunghi. Solo che anche il secondo parlava di Matilde. A quel punto, ho capito che il mio sarebbe stato un romanzo”.

Nel romanzo sembra che le donne abbiano addosso una maschera che le protegge dalla vita di tutti i giorni.

“Questo libro riguarda le donne perché sono loro, più o meno inconsciamente, a tessere la trama. Loro diventano  se stesse davanti a qualcosa di grande e tendenzialmente drammatico. Sarebbe stato lo stesso, però, se fosse stato un mondo popolato da uomini. La mia è una convinzione: soltanto di fronte a certi eventi drammatici noi riusciamo a ‘convivere veramente’ con gli altri. Ci mostriamo per come siamo, con le nostre imperfezioni, manie, debolezze. E anche se abbiamo vissuto vent’anni con un’altra persona, solo allora diventiamo noi, o meglio il ‘noi autentico’. Spoglio di quei filtri che la società e la famiglia ci hanno imposto.”

Matilde e Clara, amiche e colonne portanti del racconto, subiscono questo svelamento.

“ Sì, Matilde di fronte alla malattia e Clara di fronte alla scomparsa temporanea della figlia. Loro hanno questa ‘opportunità’. Perché, in definitiva, è di questo che si tratta: l’opportunità di scoprire davvero chi siamo. Mettono in crisi tutto il loro mondo, partendo da loro stesse, e questo le porta ad acquisire una consapevolezza che prima non avrebbero mai avuto. Per me, come scrittrice, è stato un momento importante descrivere questo svelamento nel personaggio di Clara. Lei religiosa, lei che crede in un disegno divino più grande e incomprensibile, nel momento dello sconforto più totale per l’assenza della figlia, ordina al suo dio: Ridammela! Qua è chiaro, c’è una rottura. Per quanto le cose poi si aggiustino e piano si ritorni alla normalità, lei per prima sa che non sarà nulla come in passato. Ormai è diversa.”

Si dice che quando un libro riesce a raccontare di temi che riguardano tutti sia un libro ‘universale’. Così mi vengono in mente due temi che vengono trattati, anche se non si nominano mai direttamente: l’amore e il tradimento. Elena, scrittrice e donna, cosa pensa a questo proposito? C’è un’idea chiara?

“L’esperienza dello scrittore consolida un istinto e una convinzione tale per cui si possano sapere le cose solo raccontandole. Per lo stesso motivo, è impossibile arrivare a rispondere in maniera assoluta. Per Matilde l’amore è qualcosa di fortemente combattuto, che non è scontato e che ingloba tutto e con tutto anche il tradimento. Quando lei tradisce il marito, lo fa per ‘compassione’, nel senso più cattolico del termine. Giulio in quel momento è completamente solo e lei lo sente e per compassione va da lui. Il perdono del marito che le dice: Non è mai successo,  rende quell’atto un insieme di cose che vanno oltre la definizione. Le cose sono più ambigue di quanto si creda e molto più complesse di una definizione. Matilde, anzi no Io-Elena, credo fortemente che l’amore sia la condivisione di due solitudini. Che sia quel momento in cui dopo anni ti giri e c’è ancora lui, quel momento in cui dici Devo andare! e quello in cui dici Non è mai successo!

Le donne qui sono soprattutto madri. Questo loro essere madri le rende sempre inquiete, vivono un’angoscia perenne, come se dietro l’angolo ci fosse un orco pronto a mangiare i loro figli.

“Risponderò raccontando una storia che ho scritto qualche tempo fa, si chiama ‘La Corsa’. C’è questa mamma che porta il figlio sopra una collinetta di neve con il suo bob. La donna tiene il bob con un cordino, per non farlo scivolare via. Arrivati in cima, però, si accorge di avere una scarpa slacciata e si inchina per allacciarla. Lascia per un istante la corda e in quel secondo il bob scivola e inizia a prendere velocità. Nel frattempo, dalla curva della strada si vede arrivare un’auto. Il racconto si sospende con questa scena. Quando è nato il mio primo figlio ero felicissima, ovviamente, ma mi raggiunse anche una consapevolezza: quella vita che avevo messo al mondo era una vita che sarebbe stata in pericolo costante, ogni giorno. Il punto è che per quanto si può proteggere, devi anche lasciare andare. Così tutto diventa pieno di paure, frustrazioni, inquietudini. Un rapporto ancestrale quello della madre col figlio, forse impossibile da definire a parole.”

Il bosco, come nelle fiabe, c’è anche qui. Perché?

“Il bosco è quel luogo dove puoi entrare e perderti, dove la luce non filtra, dove tu hai poco potere. E’ quella sorta di incombenza, che sentiamo tutti – chi più chi meno-. Il bosco sottolinea che c’è sempre qualcosa al di là. Certo, si potrebbe chiamare morte, paura atavica, io credo che sia semplicemente Vita. E’ il paradigma che accomuna ognuno di noi.”

Da una statistica recente emerge che in Italia vengono letti più scrittori uomini. Per di più, sembrerebbe che le lettrici preferiscano libri scritti da uomini. Cosa ne pensa?

 “Mi rendo conto che c’è un certo preconcetto in Italia. Senza generalizzare, è un po’ vero però che i “grandi romanzi”, quelli che vengono considerati tali, sono scritti da uomini. Sono quei romanzi dove magari c’è uno sguardo più universale, orizzonti ampi, la grande storia, con la ‘S’ maiuscola. Ed è vero, che molto spesso le autrici preferiscono focalizzarsi su piccoli mondi, i legami familiari, la particolarità. Questo può essere visto come una debolezza. Personalmente, quando mi dicono Nonostante sia un libro femminile hai fatto un buon lavoro, mi altero un po’. Continuo a credere, però, che le due visioni dovrebbero completarsi a vicenda, essere presenti entrambe e invadersi.  E se anche una scrittrice parlasse solo del “tinello” di casa sua, che si sforzi per fare in modo che sia il “tinello” raccontato meglio della storia. Solo così qualsiasi critica, non costruttiva, risulterebbe indifferente. Considerando poi, che le donne storicamente si sono affacciata tardi sia al mondo della letteratura, che a tante altre cose, e che per secoli sono state solo lettrici, mi viene da dire che dobbiamo lavorare molto più degli uomini ora. Fare un lavoro sulle nostre potenzialità, che arrivi ad annullare queste distanze.”

Voleva fare la scrittrice quando era piccola?

“No, volevo fare la cantante. Ho una bellissima voce! Io pensavo a tante cose: cantante, musicista, avvocato. Ecco, forse l’avvocato avrei dovuto farlo!”

Occhi lucidi e sguardo sereno, Elena si aggiusta una ciocca di capelli.

Tornando a “La luce perfetta del giorno”, facciamo due giochi. Il primo è un po’ alla Raffaella Carrà: tre aggettivi che le vengono in mente ripensando al suo libro.

“Aiuto! Commovente, perché mi commuovevo mentre lo scrivevo. Poi –mamma mia ma è un gioco sadico- struggente, per lo stesso motivo di prima. E direi misterioso, perché è un mistero che sia arrivata alla fine, come ci sia arrivata e quando lo guardo mi dico che è un mistero che sia diventato così com’è ora. Ecco non sono andata molto bene in questo gioco, mi sa.”

Va benissimo, invece. Ora il secondo giochetto: io leggo una piccola parte del libro, qua io da lettrice c’ho visto di più, e lei mi dice quello che le viene in mente. Elena annuisce. (Da “La luce perfetta del giorno”) Era giusto provarci, era una cosa che magari si sarebbe rivelata importante, alla fine. era giusto fare qualsiasi cosa ti venisse in mente di fare per sopravvivere, sbrinare il freezer nel cuore della notte in attesa che tua figlia tornasse, riempire d’acqua la vasca da bagno mentre piangevi perché nessuno di coloro che amavi- era così- se ne accorgesse, o portare la macchina in cima alla strada prima che la neve rendesse il vialetto impraticabile e poi tornare indietro, tornare a casa e chiuderti la porta alle spalle. Ci pensa qualche secondo, si morde le labbra.

“Allora, qui ci sono due speranze che vanno oltre il libro, oltre la storia in sé. Sono due speranze mie, personali. La prima ha a che fare col Senso delle cose; la speranza che ci sia un senso, sempre, in quello che accade. Una cosa che non c’entra con la religione, attenzione. La seconda speranza è di poter Sopravvivere. Nonostante tutto sopravvivere, riuscire a completare il viaggio e costatare che effettivamente ci siamo ancora. Anche il titolo del libro richiama proprio a questa speranza. Una Luce Perfetta che ci faccia capire che non siamo soli e che c’è un senso e una strada da percorrere. Qualunque essa sia e dovunque essa porti.”

Le sue storie sono tutte ambientate dove è nata. In paesini del nord, dove il sole tarda a spuntare e il caldo delle case entra in contrasto con il freddo dei boschetti circostanti. Ha mai pensato, però, di ambientare qualcosa giù in Trinacria?

“Non credo che potrei ambientare una storia in una terra che non mi appartiene, diciamo, in cui non affondano le mie radici. Perché sono convinta che nel momento in cui scrivi devi sapere da dove attingere alla perfezione per poter rendere la tua storia il più verosimile possibile. Forse dopo un lungo soggiorno potrei pensarci”.

In Sicilia c’è mai stata, però?

“In Sicilia: sì, certo, sono stata in Sicilia. A Catania, precisamente, credo sette anni fa, d’estate, per un reading di poesie. Un locale fuori città, immerso in un “boschetto” di fichi d’India. Una serata meravigliosa, un posto fantastico, come i colori di Catania, d’altronde. Mi pare sia accaduto una vita fa. In effetti, era un’altra vita. Era la vita in cui scrivevo poesie e pensavo che non avrei mai fatto altro. Il ricordo di quella notte però è preciso e dolce, come quello di certi sogni. Mi piacerebbe moltissimo tornare, e magari rivedere quel boschetto, in una serata ugualmente limpida, bella, con il libro a cui sto lavorando.”

Si avvolge meglio lo scialle di lana intorno alle spalle. Il freddo e la neve cominciano a coprire Torino ed Elena ne viene rapita per qualche istante.

Sta già lavorando a qualcos’altro?

“Sì, sto lavorando ad un altro romanzo. Ma non dico nulla, semplicemente perché oggi è un romanzo e domani è un libro di ricette. Noi scrittori siamo così”.

Ride rumorosamente, mentre tamburella con un dito sul tavolo.

Lasciamo al ‘mistero’ anche questo?

“Sì, questa mi sembra un’idea Perfetta.”

 

Articolo Precedente Nasce Calipso, centro antistalking e antiviolenza
Articolo Successivo Personale di Bazan in mostra a Palermo

Scrivi un Commento

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *