Sanremo aveva Orecchio (e non l’ha sfruttato)


Da Palermo con furore, Tiziano Orecchio: voce potente e umiltà a bizzeffe – più di quanta non ne abbiano (voce e umiltà) i nomi senza cognomi che ottengono il quarto d’ora di celebrità sui talent – partecipò alla 56esima edizione di Sanremo, classificandosi al quinto posto nella sezione giovani (il brano s’intitola “Preda Innocente”). Oggi, dopo parecchie esperienze “elettrizzanti”, insegna tecnica vocale all’Accademia Scarlatti di Roma (dove vive da circa otto anni) e si diletta a esibirsi nei pianobar. Ha un album in uscita. Quanto segue, ad ogni modo, non è l’ennesima – e inflazionata – filippica dell’artista che, non avendo spiccato il volo, si propone come martire ultimo del “sistema discografico”. È una testimonianza come tante di chi lavora (bene) nel settore. Vamos.

A breve uscirà il suo nuovo album. Cosa dobbiamo aspettarci?

“La mia ultima fatica “lotta” per uscire. Ma sono certo che, quando verrà il suo momento, “Anima Chimica” sarà l’album del cambiamento. Rock, elettrico, passionale”.

Qualche anticipazione?

“Il nuovo album è pieno di un nuovo Tiziano: energico, “grezzo”, particolarmente curato nella fase “aurorale”. Il tutto, lo si deve anche e soprattutto alla collaborazione artistica dell’autore Vincenzo Incenzo”.

Fino ad oggi ha cantato solo di amore. Non corre il rischio di scadere nella monotonia e nella melensaggine?

“L’amore non è più la parte integrante delle mie canzoni. È solo una componente . I testi vertono ormai su temi più specificamente “vitalistici”: sesso, libertà, espressione”.  

Conviene nel riconoscere il drammatico equivoco per cui, oggi, avere una bella voce sia ritenuto bastevole per esser considerati artisti?

“Sono due cose separate. Per quanto si sia alzata la media qualitativa, cantare bene, oggi come oggi, non è difficile. Si è registrata, tuttavia, una percepibile omologazione delle “modalità vocali”: non a caso, al di là delle meteore, spiccano i timbri originali più che le belle voci”.

Dei talent-show, cosa ne pensa?

“Do una risposta prevedibile: in un momento discografico come questo, il peggiore degli ultimi vent’anni, si tratta di un espediente efficace per tenere alti i numeri. Ma questo, spesso e prevedibilmente, va a discapito della qualità: personalmente, rintraccio poca “arte” in ciò che esce dai talent. Il meccanismo è semplice: oggi non piace necessariamente il più bravo, ma quello che si vede di più”.

Nella fascia generazionale dei giovani impera il conservatorismo musicale. Si fatica a scovare il nuovo e ci si rifugia nel vecchio.

“È innegabile che fra vent’anni si ascolteranno ancora i Pink Floyd, si ascolterà ancora Battisti. Però bisogna essere in grado di individuare le novità di qualità: ce ne sono poche, ma ci sono. Il punto è che, da due decenni a questa parte, la componente “radiofonica” prevale su quella creativa. Basti osservare i prodotti recenti di due “intramontabili”: Vasco ha semplificato i suoi testi, in seguito alla certezza che le esigenze degli “utenti” sono cambiate; Ligabue – nulla da dire sulla qualità di scrittura – continua a riciclarsi, temendo di abbandonare una formula sino ad oggi dimostratasi vincente”. 

Mi dice un aggettivo per descrivere la sua esperienza sanremese.

“Strabiliante. Più di ogni altra cosa, mi emozionò sapere di essere il preferito di Francesco Totti (giusto pochi mesi prima del glorioso mondiale). Abito a Roma da quasi un decennio, le telefonate furono molte”.

Perché Sanremo, che è riuscito ad essere trampolino di lancio di molti (specie di quelli che giunsero a bassa quota), non è riuscito a “consacrarla”?

“Sanremo, ormai, si esaurisce nella sua estetica nazional-popolare. È un trampolino che ha smarrito l’elasticità di un tempo. Ad ogni modo, io, nel mio piccolo, l’ho sfruttato; non a livello discografico, è ovvio: tanto per errori miei, quanto per errori di chi mi “gestiva”. Consideri anche che quel Sanremo non brillò più di tanto: politicamente, Panariello, fu aiutato poco e niente”.

Politicamente?

“Credo sia palese che Sanremo vanti un retroscena tipicamente italiano”.

Ecco: Anna Oxa, in seguito alla sua esclusione, ha qualificato questo Sanremo come «sottoprodotto del Primo Maggio»; condivide più la sua definizione – provocatoria – o l’entusiasmo di chi sostiene che l’Ariston, quest’anno, si appresta a diventare vetrina per chi non ha avuto occasione di proporsi alle grandi platee (vedi Almamegretta o Marta sui tubi)?

“Anna Oxa ha pienamente ragione. Oggi esistono super-big e “amiciari” big: i big propriamente detti (Oxa, Bertè, Tozzi ecc… ) restano fuori. Siamo davanti al Festival della Politica”.

 

 

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