Valentina Banci vestirà i panni di Medea e Filippo Dini sarà Giasone. La regia è affidata a Paolo Magelli. Sicilia&Donna torna al teatro greco di Siracusa per ammirare un’altra nota protagonista della tragedia antica, si tratta di Medea e questa volta Euripide lascia il posto a Seneca.
Un vortice di emozioni umane che vede l’enfasi di un femminile idillio d’amore contrastare col lucido ragionamento maschile sul potere politico, in un groviglio di sentimenti ove la passione viene stoicamente associata alla follia.
Una rielaborazione sui generis quella del regista che, se da un lato spiazza e fa storcere il naso agli amanti della tradizione, dall’altro, puntando su ciò che di espressionistico coglie nel poeta della latinità, fra abiti anni quaranta e inni onirici modernizzanti, riesce magicamente ad accompagnare lo spettatore in quel vortice che condurrà Medea all’acmè della sua follia, in una dinamica di azioni umane che, senza soluzione di continuità, sembrano fluire dall’antichità ad oggi.
L’intervista a Valentina Banci, Medea
Un ruolo assolutamente moderno quello di Medea, possiamo dirlo, una donna che mette il marito davanti a tutto, ma che poi viene ripudiata, una donna irata che vuole vendicarsi e lo fa nel peggiore dei modi, rivalendosi sulla prole; come indossa Valentina Banci i panni di Medea e cosa mette di suo nel personaggio?
«Di mio ho messo tutto perché è chiaro che un attore debba mettere se stesso nel personaggio che interpreta; la storia di Medea è una storia di isolamento, di solitudine portati a un punto tale da arrivare alla follia e questa è, in poche parole, la storia di Medea, quella di una follia enorme perché enorme è la sua forza così legata alla natura, agli eventi naturali del cosmo, per questo dico sempre che Medea è una madre terra e per questo uccide i suoi figli, quasi riportandoli nel ventre materno, nella sua follia, li uccide per salvarli da un mondo i cui lei non si riconosce e credo che ciò sia molto chiaro nella lettura registica dello spettacolo.»
Dunque questa Medea è o non è innocente, se di innocenza si può parlare?
«Ovviamente non può essere innocente una madre che uccide i propri figli, però da un punto di vista politico, se così possiamo dire, è una donna pura che non si arrende ad un mondo di corruzione, beh se questo vuol dire essere innocenti; c’è il mondo maschile rappresentato dal potere e da tutti i più orribili compromessi e poi c’è Medea che cerca di mantenere la sua purezza primordiale, e credo che anche in questo senso possiamo considerarla una figura assolutamente moderna. Medea, certo, è una donna forte, Creonte lo dice, lei ha la forza di un uomo e la perfidia di una donna, dunque non possiamo giustificarla, ma accompagnarla in questo percorso che va verso la follia comprendendo appieno cosa dentro di lei si è rotto e perché.»
Una prima volta per la Medea latina al teatro greco di Siracusa, Seneca l’ha voluta ancor più truce e feroce dell’originale greco, come l’ha resa –invece- il regista, a quale letteratura ispira la sua Medea?
«Magelli credo che si sia davvero ispirato a Seneca, al quale poi si sono ispirati, a loro volta, tutti i più grandi intellettuali della Mitteleuropa del Novecento da Freud a Heiner Müller che nella rielaborazione drammaturgica è significativamente presente. Magelli è un regista che va per sua natura verso l’espressionismo, infatti, lui dice che Seneca è il primo vero autore espressionista, e devo dire che la lettura del regista è interessante perché se è vero che Seneca rispetto ad Euripide vuole una Medea più feroce sin dall’inizio, è anche vero che nella lettura di Magelli questa donna non sembra così feroce, anzi sembra quasi una bambina che mostra una fragilità estrema, che poi è la chiave di volta e di rottura della stessa tragedia. Proprio questo dualismo, che ho vissuto sulla mia pelle, è la peculiarità di Medea, in scena sembra di assistere ad un soliloquio, invece è come se ci fosse un dialogo tra la parte lunare e quella solare, tra la razionalità e la follia della protagonista, ed è proprio questa lotta che la rende, a mio avviso, molto materna.»
E come vive Medea il rapporto con Giasone, lei lo vuole vittima, ma anche spectator delle sue atrocità, proprio perché in ciò consisterà la sua vendetta, è così?
«Sì, è vero che Medea vuole un Giasone spectator e proprio questo rimanda all’espressionismo di cui parlavamo, c’è già quasi una forma di metateatro dentro. Medea è una donna folle e Giasone è un uomo che si sta vendendo per un regno e che per questo mette il ragionamento davanti al cuore, ma la cosa bella, che anche Magelli ha sottolineato, è il senso di ciò che c’è stato di forte fra loro, un amore passionale, manifesto in scena dalla ricerca di un’intimità perduta, un essere vicini fisicamente che, in qualche modo, umanizza il tutto.»
Se Valentina Banci, dopo essersi calata nel profondo del personaggio Medea, avesse potuto cambiare qualcosa nella resa di questa tragedia, dalla scenografia, agli abiti, alla musica, cosa avrebbe modificato?
«Non avrei modificato nulla, io lavoro con Magelli da dieci anni e mi sento perfettamente in sintonia con lui, sento che il suo tipo di teatro mi consente di esprimere sempre appieno la mia natura, fra l’altro credo che in Italia ci sia bisogno di rileggere i classici con delle libertà che in Europa esistono già da circa cent’anni, forse siamo rimasti un po’ indietro?» (sorride…)
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