Vincenzo Spampinato: “Vivo da semplice in un mondo complicato”


“Alcuni personaggi credono di poter controllare tutto e tutti, ma i sogni sono liberi da ogni costrizione”. Da quest’intensa affermazione inizia il nostro incontro con Vincenzo Spampinato nel backstage del Teatro Brancati, Teatro della Città, in occasione della tappa catanese del suo tour nazionale “Venditore di Nuvole”. Assistiamo ad uno Spampinato emozionato ed emozionale che racconta se stesso cercando di oltrepassare il silenzio dell’anima di questo particolare periodo storico senza mai dimenticare la sua Sicilia. “La nostra terra ha delle grandi potenzialità dimenticate dal troppo rumore che le gira attorno”.

Il suo “Venditore di Nuvole”, uno spettacolo che ripercorre la sua carriera spaziando tra pubblico e privato denudando la sua anima di uomo e d’artista. Com’è nata l’idea di questo spettacolo e chi è il vero “Venditore di nuvole” in un’ Italia in cui si cerca di far passare per buono anche ciò che non lo è?

“Ognuno di noi è, se vuole esserlo, “il venditore di nuvole o sogni”. Una vendita metaforica dove si chiede soltanto di sognare in compagnia, in un Paese dove ormai tutti si credono creatori o padroni dei sogni degli altri. L’idea nasce dall’esigenza di presentarsi in maniera semplice e sincera al pubblico, che a parer mio è stanco dell’arroganza che si vede in giro e nei media”.

Dal primo 45 giri inciso nel ’76 ,“E gli altri sanno / E piove”, dopo l’esperienza da ragazzino e il quasi debutto con I Rovers ,il gruppo del fratello Pippo,  com’ è cambiata la sua vita da allora ad oggi?

“La mia vita cambiata? Ho sempre vissuto da semplice in un mondo complicato”.

Lei è rimasto e rimarrà sempre un figlio dei fiori, un poeta che canta le sue sensazioni e la sua gioia di esistere. Quando compone a cosa s’ispira? Nel corso degli anni durante la creazione di un brano c’è qualche gesto scaramantico che si ripete o un rito particolare per trovare la giusta concentrazione?

“Si compone qualcosa quando, immaginandosi in una strada, ti trovi o alla fine o all’inizio, triste o contento, bianco o nero. La creatività non può stare al centro, lì vive la ragione, chi scrive è un pazzo o un bugiardo che dice la verità. Non credo alla scaramanzia”.

La Sicilia da sempre è stata fonte d’ispirazione e alla sua terra natale ha dedicato molte delle sue composizioni. Ad esempio in “Utopia del triangolo” parla di un’isola vincente e non più isolata. Qual è la Sicilia vincente di Vincenzo Spampinato e cosa manca alla nostra terra per essere vincenti?

“Il coraggio di buttare tra Scilla e Cariddi quei falsi siciliani corrotti, mafiosi, traffichini, che non servono, voce del verbo servire, la nostra Terra, ma la usano. Gli innamorati salveranno la Terra degli Dei”.

Tra i suoi tanti successi c’è un brano a cui è più affezionato? Qual è la storia, se c’è, della nascita di questa canzone?

“Io mi innamoro sempre dell’ultima canzone scritta, però non dimentico mai le altre, perché grazie a quelle posso scriverne una nuova”.

Gli esordi sono difficili per tutti, ma a volte l’ostacolo più difficile da superare è comunicare ai genitori la propria voglia di esprimersi. Come hanno reagito davanti alla sua decisione? Possiamo essere partecipi di qualche momento topico?

“Mio padre all’inizio mi ostacolò un pochino, ma poi si rese conto che con la musica non si faceva del male a nessuno”.

Recentemente ha vinto con “Muddichedda Muddichedda” il Nuovo Festival della Canzone Siciliana. C’è, secondo lei, un futuro per la canzone siciliana?

“La canzone siciliana è il futuro”.

Molte delle sue canzoni sono nate per altri colleghi, ma tra tutte le canzoni “donate” agli altri c’è una canzone che avrebbe voluto tenere per se?

“Il vero “dono” di una canzone, è il sapere che quel brano che regali, ti sarebbe piaciuto cantarlo in prima persona, senza pensare minimamente di riaverlo indietro”.

Il mondo discografico sta soffrendo, le grandi major discografiche aumentano il prezzo dei cd indebolendo il mercato. Da tecnico, da addetto ai lavori che ha vissuto l’opulenza discografica degli anni 70 e 80, come vive tutto ciò?

“C’è, secondo me, una cattiva “educazione artistica” del pubblico, che pensa che il nostro operare non sia frutto di lavoro, sacrifici e impiego di mezzi da una parte e un’industria discografica, dall’altra parte, ormai spenta, egoista ed ignorante. Il risultato porta ad una calma apparente, che in realtà ha spento l’anima a tutti gli artisti, vecchi e giovani, decretando la fine di un mondo musicale meraviglioso”.

Musica e Talent Show. Che ne pensa? Un binomio che può coesistere o il più forte uccide l’altro come nel caso dei vari format televisivi?

“La musica, quella vera, non ha paura di niente e di nessuno. Il problema non sono i talent, i format, ma la malafede. L’uso e l’abuso che i guru della TV applicano nei giovani, che in poco tempo devono essere “pronti” come carne da macello sul palcoscenico, per essere spremuti a dovere e poi dopo l’uso buttati da parte”.


La sua musica e la sua arte sono un punto fermo per la città di Catania tanto da essere stato scelto per scrivere l’inno della Regione Siciliana. Un onore, un onere o cosa?

“Un grande onore”.

Prossimi impegni lavorativi?

“Continuare a vendere Nuvole”.

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