Giuseppe Li Rosi: I grani siciliani sono frutto di una selezione accurata


Giuseppe Li Rosi
Giuseppe Li Rosi

Giuseppe Li Rosi è un imprenditore agricolo di Raddusa che da 12 anni, nella sua proprietà di circa 200 ettari tra la provincia di Enna e quella di Catania, coltiva grani autoctoni siciliani, che mantengono lo stesso patrimonio genetico di quelli di 9000 anni fa. “I grani locali siciliani sono frutto di una selezione accurata compiuta da agricoltori, ben 9000 anni fa – precisa Giuseppe Li

L'imprenditore Giuseppe Li Rosi
L’imprenditore Giuseppe Li Rosi

Rosi- di contadini che estraevano energia dalla terra tramite le sementi, e che intrattenevano un rapporto un rapporto di simbiosi quasi magico con i campi e i suoi frutti, rapporto che ormai noi abbiamo perduto”. Ad oggi in Sicilia di questi grani antichi rimangono ben 50 varietà o popolazioni. “Una quantità quella del nostro micro-continente siciliano che non potrebbe essere eguagliata neanche dall’unione di tutte le varietà presenti in ogni regione italiana – continua Giuseppe Li Rosi – se intendiamo la parola continente nel senso letterale di quello che contiene e della diversità

biologica che include, si capisce bene come la Sicilia ne rispecchia tutte le caratteristiche.” La nostra isola raccoglie infatti altipiani, colline, coste, montagne e una biodiversità smisurata. La semina del frumento comincia a Maggio, nel secondo posto considerato tra i più aridi d’Europa, la Piana di Gela e si conclude a Luglio nella Sicilia occidentale. Risulta di fondamentale importanza preservare questo patrimonio genetico alimentare che rischia di essere messo da parte e sormontato La pasta che consumiamo regolarmente, oggi, spesso è prodotta con grano proveniente dal Canada, dove a causa delle basse temperature per la produzione vengono usati i disseccanti, tra cui il glisofate, elemento cancerogeno.dalle leggi dell’industrializzazione. Giuseppe Li Rosi coltiva quattro tipi di grano: il Timilia, lo Strazzavisazz, la varietà più antica di grano duro presente in Sicilia chiamato per questo anche settecentanni, il grano tenero Maiorca e il margherito o bidì dalle ottime caratteristiche panificatorie. Grani che producono il 50 per cento in meno rispetto alle varietà moderne: 20 quintali per ettaro invece di 40 o 50 con un bassissimo indice di glutine e per questo altamente digeribili. Il glutine (gluten, colla, tossica per l’uomo) presente nel frumento di 9000 anni fa è infatti formato da sequenze di aminoacidi molto larghe e per questo facilmente scomponibili dagli enzimi che si erano abituati a digerirlo. “Ricordiamoci infatti che mentre l’uomo selezionava il grano anche questo selezionò la nostra genia caucasica – aggiunge l’agricoltore – I celiaci che si trovavano in un ristretto numero furono eliminati dall’evoluzione”.  Poi “il grano è stato nanizzato perché c’era la necessità da parte dell’industria chimica di piazzare il nitrato di ammonio, residuo della seconda guerra mondiale – spiega Giuseppe Li Rosi- cominciarono quindi ad usarlo in agricoltura per la mutagenesi indotta, da cui nel 1974 nacque il creso, un grano mutato geneticamente che produceva il doppio di quello normale”. Il grano moderno, adatto per la pastificazione e dalla maggiore il grano è stato nanizzato perché c’era la necessità da parte dell’industria chimica di piazzare il nitrato di ammonio, residuo della seconda guerra mondiale produttività, ha un gluten-index che da una scala da 0 a 100 sfiora sempre i 90-100, mentre quello del grano antico o locale oscilla tra 4-67. Il più tenace con indice 67 è il camut. “Tutto ciò a scapito della qualità del prodotto e della nostra salute – allerta Giuseppe Li Rosi- Il glutine moderno, con quest’elevatissimo gluten-index, è formato da una fitta sequenza di aminoacidi che risulta infatti difficile da digerire. Ormai si è disseminato per il mondo un grano sempre più iperproteico che il nostro intestino non riesce a digerire dando il via a tutte le intolleranze e le allergie.  La pasta che consumiamo regolarmente, oggi, spesso è prodotta con grano proveniente dal Canada, dove a causa delle basse temperature per la produzione vengono usati i disseccanti, tra cui il glisofate, elemento cancerogeno. Una civiltà si giudica anche osservando ciò che essa mangia – conclude Giuseppe Li Rosi- preserviamo quindi la varietà della nostra terra”.

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