È bionda, con un modo così elegante di camminare che dà subito all’occhio. Poggia decisa i piedi a terra e tutto intorno è terra bruciata. Incontro Mirella Musumeci, Fashion Editor di Vogue Italia, in un bar in Piazza Duomo a Catania.
Comincia così la nostra chiacchierata all’ombra del Liotru, in piazza Duomo, a Catania.
L’intervista a Mirella Musumeci
Com’è cominciata, da Francavilla di Sicilia alla capitale della Moda?
“Mia mamma aveva una sartoria mi piaceva giocare con i vestiti del suo armadio, sperimentavo sui modelli cercando abbinamenti che assomigliassero a quelli dei miei stilisti preferiti. Mi divertivo a conciare mia cugina di cinque anni più piccola, capii col tempo che facevo già dei servizi fotografici. A 16 anni sognavo di fare la stilista e giocavo scomponendo il mio nome, immaginavo già la mia prima collezione, che sarebbe nata anni più tardi. A 18 anni mi iscrissi alla facoltà di lingue di Catania, ma dopo tre anni ricordai che il mio sogno non era quello, andai a studiare alla Marangoni a Milano e una volta lì sentii subito che era quello il mio mondo”.
Un sentiero in discesa o una strada in salita?
“All’inizio ho fatto fatica perché la competizione nel mondo della moda è molto alta, ma non mollavo perché sentivo che stavo percorrendo la strada giusta.
Diventai assistente di una redattrice, da lì si aprì davanti ai miei occhi qualcosa di magico, il mio primo giornale si chiamava “100 cose”, cercavo di fare servizi più ricercati e accurati possibili, concentrandomi sulla moda e divertendomi un sacco a montarli. Lavorai nelle produzioni cinematografiche come costumista, facevo consulenza e disegnavo collezioni per le aziende. Un percorso durato sette anni.
Poi Vogue creò il suo primo Vogue Chaussuses, l’allegato che raccoglieva calzature e accessori di tutte le aziende di moda, furono loro a contattare me.”
Come si approcciò a questa nuova collaborazione?
“Mi posi in modo professionale, volevo raccogliere i frutti del mio valore, lavoravo in tempi strettissimi cercando di dare sempre ottima qualità. Lavoravo su più servizi nello stesso momento, facevo campagne e lookbook.. Lavorai per tante testate della Condè Nast, principalmente per Vogue Italia, gli allegati e L’uomo Vogue.”
Come si scelgono i trend del momento?
“Con tanta ricerca e aggiornamento continuo. Anche se seguo tanto il mio intuito, immagino delle cose che poi vedo realizzate dopo. È come avere dei ricettori, delle antenne. Ho una sorta di sesto senso. In genere o lo hai o non lo hai. Guardo tante sfilate e alleno sempre il mio occhio, ma principalmente la moda si comunica con la scrittura, non è visiva (cita la semiotica di Roland Barthes): è la didascalia che ti fa vedere qualcosa piuttosto che un’altra, uno stivale nero cambia in base al contorno, con dei giubbini di pelle e degli zaini per esempio diventa qualcosa, messo insieme ad altri capi neri diventa altro, sei tu che cambiando il modo di contestualizzare cambi lo stile. Non scelgo solo quello che mi piace, altrimenti sarebbero solo tre capi… Cerco di fare diventare appetibile qualcosa che alle volte… non gli daresti ‘na lira!”
Come si organizza un photoshooting?
“Il photoshooting ha dei passaggi ben precisi, concordi col fotografo il servizio che vuoi fare, dopo averne parlato col direttore. Quando hai deciso la tendenza, organizzi un casting per scegliere i modelli o le modelle, la location, e gli abiti. Prepari le valigie e parti.
Attraverso questo lavoro racconti una storia, che parla di una tendenza moda, puoi anche ispirarti a film, personaggi, temi d’attualità o fatti di cronaca, ma ad ogni modo resta sempre una storia di moda.
Principalmente è un lavoro di team, in genere io e il fotografo siamo i registi, gestiamo la situazione e diamo indicazioni ai truccatori e alla modella.”
Ha lavorato con tanti fotografi, chi più di altri le è rimasto nel cuore?
“Uno di quelli che mi ha particolarmente segnato è stato Mauro Balletti, e poi Ferdinando Scianna, che conobbi durante la campagna pubblicitaria della Campari e già mi piacque perché raccontava la Sicilia. Ma il mio preferito rimane Tony Campo, amico e compagno affidabile ed esperto nella mia esperienza in Condè Nast.”
Una carriera molto variegata, dalle campagne pubblicitarie al visual designer finché un giorno creò il suo brand..
“Eh sì… alla fine nacque Mira Muci, la mia prima collezione. Sono stata fortunata perché ho fatto tutto quello che volevo fare.”
Crede di aver realizzato tutti i suoi sogni, o c’è ancora dell’altro nel cassetto?
“No, ho sempre voglia di fare. Ho in mente tanti nuovi progetti. Mi piace poter donare agli altri il mio metodo attraverso l’insegnamento. Ho lavorato allo Ied e da qualche anno a questa parte mi hanno chiamato in varie scuole. Alla fine ho scelto l’Accademia EuroMediterranea di Catania, la Sicilia mi piace sempre. La scuola è un posto dove la mia energia vibra, trasmettere agli altri mi piace, cerco di trasmettere quello che serve veramente nel mondo del lavoro.”
Ai ragazzi che sognano di lavorare in questo mondo cosa consiglia?
“Passione, impegno e desiderio vero, puoi raggiungere qualsiasi obiettivo, ma è la volontà a fare la differenza. Lo studio è importante, ma poi bisogna metterlo in pratica, non si può arrivare subito, ci sono dei passaggi intermedi obbligatori e non si può essere stanchi ancora prima di cominciare. Bisogna mettersi in gioco senza paura perché si può cambiare tante volte per cercare la strada giusta. Servono grinta, passione, costanza. La strada è dura ma bisogna andare avanti, senza sentirsi mari arrivati. Si impara sempre qualcosa fino a quando non tiriamo l’ultimo sospiro.”
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