L’uomo che ho davanti, si chiama Sergio Daricello, rasato, occhi azzurri e sguardo vivace, palermitano di nascita e stilista di professione.
Mi sorride amichevolmente, ci accomodiamo e inizia a raccontarmi com’è cominciata la sua avventura, a partire dalla Sicilia fino alla Capitale della Moda da Dolce&Gabbana a Versace, tanto per citarne qualcuno, ma andiamo con ordine e iniziamo dal principio.
L’intervista a Sergio Daricello
Potrebbe raccontarci della sua passione per la moda, com’è nata? Cos’è che la spinse a seguirla nonostante tutto e tutti, cambiando più volte corso di studi?
“Ho sempre avuto una passione per il disegno e la pittura, non ho memoria di giorni in cui non abbia disegnato, è il mio ricordo di sempre. La mia famiglia ha fortemente segnato il mio percorso di studi, io volevo andare all’accademia ma andai al liceo scientifico. Dopo il diploma sarei voluto andare all’accademia delle belle arti, ma mi iscrissi in giurisprudenza, feci due anni e poi scoppiai. Sentivo che non era la mia strada. Iniziai a studiare pittura e restauro all’accademia Abadir, ma poi per fortuna un viaggio a Milano mi aprì gli occhi, capii che era li che dovevo stare. Avevo sempre disegnato vestiti e l’abbigliamento per me era un chiodo fisso.
Trasferendosi a Milano che percorso di studi decise di intraprendere? Le mancava la sua terra?
“Mi iscrissi alla Marangoni, una grande scuola, ebbi una grande preparazione.
Mi laureai col massimo dei voti, ma fu abbastanza dura, da una parte avevo la famiglia che contribuiva alle spese e mi aiutava a mantenermi, dall’altra dovetti lavorare nei fast food della città.
Non sono anni felici da ricordare, tra un lavoro e l’altro cercavo sempre tempo per studiare, era la mia passione e non mollavo.
Milano è una madre per me alla quale sarò sempre grato, è casa e non potrei mai rinnegarla.
Vivevo a quei tempi un rapporto di amore e odio con la mia terra, l’amavo e la odiavo, l’amavo perché c’ero nato, ma la odiavo perché non mi aveva dato la possibilità di fare quello che volevo.”
Ci racconta il passaggio dagli abiti da cerimonia e da sposa, come assistente di Anna Gemma Lascari, alle collezioni uomo con Kean Etro?
“Mi diplomai e iniziai da Anna Gemma Lascari a disegnare abiti da sposa, poi feci le selezioni da Etro e le superai, con Kean è stato bellissimo, lui è un visionario.”
In che cosa l’ha influenzata l’aver lavorato per un brand come Dolce& Gabbana, poi Gianni Versace e Giuliano Fujiwara, quanto ha dato a loro e quanto di loro è attualmente rimasto in lei?
“Lavorare per Dolce&Gabbana, fu un sogno che si avverava, ma allo stesso tempo un incubo che si realizzava, dice scherzando.
Domenico e Stefano sono dei grandi stilisti, e con loro ero sentivo la mia terra vicina, ho imparato molto e mi hanno dato una base ottima che ho saputo sfruttare bene quando ho iniziato a lavorare con Versace.
Era lui il mio primo amore. Versace era in un momento di rivoluzione si era passati da un periodo normale a un crollo amministrativo, Gianni era morto da poco. All’inizio feci fatica ad adattarmi, ma far parte della rinascita della maison di Versace è stato bellissimo.
Concordare necessità commerciali e stilistiche, prodotto, stile, coordinare uffici.
Rimasi otto anni là dentro e il 95% di quello che sono lo devo a Versace, li c’è una competitività sana.
Le persone si vogliono bene, credo che sia il posto ideale, la signora Donatella è una persona geniale.”
Perché ha sentito di dover far nascere un proprio progetto personale?
“Otto anni ti fanno stancare e io mi stavo iniziando ad annoiare, fui assunto da Fujiwara, un’azienda piccola e con un gusto estetico molto differente da quello con cui avevo lavorato, ma mi fu utile e mi aiutò ad avere occhio per un altro tipo di moda, li maturò in me la scintilla e iniziai a chiedermi, <<ma se lavorassi per me e mettessi il mio nome?>>
Sentivo di voler interpretare il mio DNA non più quello di qualcun altro.
Fu così che nacque la mia linea col mio nome, non per protagonismo, ma perché voglio che sia subito chiaro che è il mio modo di vedere, c’è coerenza col mio DNA e il mio spirito, avevo già 37 anni.”
A cosa si ispirano le sue collezioni ?
“Nelle mie collezioni ci metto dentro il mio concetto d’estetica, il maximal e il minimal fanno parte entrambi del mio bagaglio, ma io cerco di trovare un punto di equilibrio facendo coesistere la linea con la ricchezza.
Mi faccio ispirare dal barocco siciliano, dal suo ricciolo che è sempre essenziale, dalla mia terra dove l’impronta di ogni civiltà è presente e genera armonia.
Quando cammino a Catania, a Noto, a Siracusa, sento un sentimento d’appartenenza che mi lega alla nostra architettura, è la mia terra.
Lo sento dentro il DNA, l’Etna, il mare, il deserto dell’entroterra, tutto mi fa sobbalzare.”
Qual è il suo target di riferimento ?
“Dai 25 ai 40 anni, la fascia di mercato è medio/ medio alta. Dietro ai miei modelli c’è un’attenzione sartoriale che cura il minimo particolare ed è molto attenta al dettaglio.
Ultimamente sto iniziando a fare dei cartamodelli, ho messo in pratica quello che già sapevo fare. Mi piace perché una mattina mi sveglio, ho un’idea e ho il potere di metterla su carta, poi su stoffa e infine realizzarla.
Adesso ho uno showromm a Milano che vende il mio marchio in tutto il mondo, sto ponendo le basi per il futuro, ma sono un uomo piccolo che fa cose grandi.”
Lei ha vissuto per molto tempo a Milano come mai ha deciso di ritrasferirsi qui ?
“La Sicilia è stata una riscoperta, perché lavorando da freelance a Istanbul, ho riassaporato la mediterraneità che ci contraddistingue.
Un esperienza di vita bellissima, Istanbul è una citta che sa regalare una magia unica, la gente, era simile a qui, e allora ho iniziato a fare i week end per capire se le cose corrispondessero, e corrispondevano.
Istanbul mi ha regalato di nuovo la forza di vivere, venivo da un periodo nero, pensai che se dovevo fare spola Istanbul Milano, avrei potuto fare ugualmente spola, Istanbul Palermo.
É ripartita allora la mia avventura Siciliana, è da due anni che ho iniziato a vivere qui ho finito adesso il trasloco.”
Si reputa una persona felice, ci sono ancora tanti sogni nel suo cassetto?
“Uno dei miei più grandi desideri è voler essere completamente autosufficiente. Io sono uno tendenzialmente felice, ho una felicità di fondo che è la follia, la zia che mi ha accompagnato lungo il mio percorso dandomi la forza di andare avanti e non molare, la chiamava stravaganza daricelliana. Oggi temo
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