Gli oil men di Greenpeace sono già entrati in azione a Catania e in altre 21 città di tutta Italia per invitare gli italiani a partecipare al referendum sulle trivellazioni offshore del prossimo 17 aprile, quando si potrà democraticamente giudicare la strategia energetica del governo ed esprimersi per la tutela dei nostri mari e del futuro dell’Italia intera. A Catania, in piazza Stesicoro, i volontari di Greenpeace, vestiti di nero e con mani e volto sporchi di una sostanza oleosa simile al petrolio, hanno animato un flash mob per richiamare l’attenzione dei cittadini sul referendum. Sullo striscione si poteva leggere un chiaro invito al voto del 17 aprile: U MARI ‘NSI’ SPUTTUSA. In ciascuna delle 22 città coinvolte, l’appello di Greenpeace a non trivellare il Paese è stato infatti tradotto nei dialetti locali, per rendere l’invito più pregnante. “Indossare il nero petrolio è stato poi un modo per far capire ai cittadini la vera posta in gioco al referendum del 17 aprile: il no alle trivellazioni è anche un no alla politica energetica del governo fondata sulle vecchie e sporche fonti fossili – spiegano i membri di Greenpeace- il petrolio è un inquinante capace di entrare nella catena alimentare e risalire fino alle nostre bocche. Con una media di 38 milligrammi per metro cubo, il Mediterraneo è il mare più inquinato dagli idrocarburi al mondo”. Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, ha poi dichiarato: “Il 17 aprile gli italiani hanno la possibilità di fermare le piattaforme più vicine alle nostre coste. Producono solo il 3 per cento del gas di cui Italia ha bisogno, e lo 0,8 per cento del nostro consumo annuo di petrolio, ma lo fanno inquinando, e molto. Come dimostra il rapporto Trivelle Fuorilegge di Greenpeace, che evidenzia concentrazioni preoccupanti di sostanze tossiche e cancerogene nei fondali vicini alle piattaforme e nelle cozze che ci crescono sopra.” I dati che il Ministero ha consegnato a Greenpeace mostrano una contaminazione ben oltre i limiti di legge per le acque costiere per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità. “Nei sedimenti raccolti in prossimità delle piattaforme e nei tessuti dei mitili raccolti sui piloni di questi impianti si trovano metalli pesanti e idrocarburi, sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene, in concentrazioni talvolta abnormi – spiega Greenpeace – paragonabili a quelle che si riscontrano in ambienti contaminati da grandi sversamenti di greggio, come nel disastro della petroliera Prestige in Galizia”. Secondo Greenpeace, il voto del 17 aprile ha un portata politica più ampia del merito tecnico del quesito referendario, come spiegano: “È una data in cui si potrà democraticamente smentire l’indirizzo energetico del governo, che da due anni a questa parte ha individuato nelle misere riserve nazionali di gas e petrolio l’unico orizzonte di sviluppo energetico per il Paese”.
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